3 novembre 2000 (Romanzo epistolare)

Una vita difficile romanzo epistolareMi chiedi cosa feci di concreto. Decisa a rendermi utile diedi ripetizioni in casa della mia materia. Guadagnavo quel poco che mi bastava solo per soddisfare qualche capriccio. Intanto le poesie che scrivevo erano diventate ben tre grandi volumi. Le novelle e i racconti avevano riempito sei volumi. Spesso sfogliavo i volumi soddisfatta, anche se ottenni solo qualche riconoscimento in concorsi locali. Nel mondo dell’editoria bisognava conoscere e toccare le note giuste. Io ero solo una sprovveduta in cerca di notorietà. Tutti scrivevano presentavano libri importanti, si davano da a fare appoggiati dalla politica, dalla gente amica. Io non avevo appoggi nelle alte sfere., non avevo nessuno sponsor. Io scrivevo non per diventare famosa ma solo per inviare messaggi, per denunciare questa società. I miei erano scritti polemici e provocatori. Mettevo in risalto le magagne di questo mondo corrotto. Gettavo dei semi nella speranza che attecchissero, ma sapevo già che tutto sarebbe rimasto lettera morta. Nessuno si prendeva la briga di realizzare una piccola rivoluzione. Ognuno si godeva beato il frutto del suo lavoro non pensando agli altri. Gli potevano in teoria anche morire di fame. L’importante era l’uscita del proprio articolo, del proprio libro. Una ricerca spasmodica di fama. Una voglia paurosa di fare carriera a tutti i costi, anche a costo di scavalcare gli altri. I collaboratori di uomini politici erano tutti ambiziosi, amanti del lusso e della carriera. Volevano anche loro un posto al sole, se non di primo piano, almeno un posto che consentisse visibilità. Per veder apparire il loro nome in qualche parte avrebbero venduto la moglie. Questi collaboratori ogni giorno buttavano sangue dietro ai politici nella speranza di avere in cambio soldi e carriera. Molti di loro avevano la carriera assicurata a svantaggio di altri colleghi, non impegnati politicamente. Il talento, le capacità non erano considerate, l’importante era essere raccomandati dal politico di turno, che in cambio voleva dedizione completa in campagna elettorale e nei circoli di partito. Io non ero serva di nessun potere e quindi non avrei fatto molta strada. Nel mio paese funzionava la tecnica della raccomandazione per trovare un posto di lavoro, tutti si prodigavano per trovare il protettore. Io non avevo protettori e nemmeno santi in paradiso. Ero allo sbando affrontavo il mondo a viso aperto senza protezione alcuna. Era una misera creatura da non considerare. La mia onestà, le mie doti non erano richieste. Il mio titolo di studio non serviva. Si poteva fare carriera anche senza bastava avere una degna protezione. Così questi collaboratori, braccio destro del potente, erano arroganti, tracotanti, superbi. Non solo loro, anche le loro mogli erano fanatiche. I raccomandati erano protetti, stavano al sicuro nei ministeri, negli enti. Fuori c’era tutto un esercito di disoccupati. Negli ospedali vigeva il clientelismo, una specie di parentopoli moderna. I figli dei primari tornavano a dirigere i reparti. La vocazione del padre che veniva per magia ereditata dal figlio. Negli atenei vi erano vere e proprie caste di professori che si tramandavano la cattedra di padre in figlio. I figli dei potenti che trovavano sempre la strada giusta e che erano persino pronti a snobbare gli altri. Quando andavo a visitare una mostra vedevo sempre le signore di un certo rango aggirarsi per le sale guardando gli altri dall’alto in basso. Come se fosse colpa mia essere nata in una famiglia del ceto medio-basso. In realtà la mia famiglia era ben messa ma il presentarmi in carrozzella non giovava. Le apparenze contavano più della sostanza. Ero esclusa dal bel mondo, dal mondo dello spettacolo, dell’alta finanza., insomma ero esclusa e non solo per il mio aspetto. A discriminarmi contribuiva l’appartenere a un ceto normale. Non riuscivo a capire a quale ceto appartenessi. Non mi ero mai posta seriamente il problema. Non credevo fosse importante. Col tempo capii che si può frequentare solo persone del proprio ceto.

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