Come estranei

Come estranei

Siamo abituati a pensare al nostro nucleo familiare come qualcosa di intoccabile, come un nido protettivo, come un luogo veramente pieno di sincerità e amore, un dolce rimedio al male del mondo, una consolazione ai dolori. Sin dall’infanzia ci attacchiamo agli zii, ai parenti, ai cugini e pensiamo di poter giustamente contare su di loro. I piccoli dissapori ci crucciano e cerchiamo di aggiustare tutto anche chiedendo scusa per le nostre mancanze. Poi andando avanti con gli anni ci accorgiamo, scopriamo che i rapporti parentali stretti non sono tutte rose e fiori, ci sono crepe, pecche, storie crudeli. Ci sentiamo prigionieri delle convenzioni sociali. Negli ultimi tempi ci accorgiamo che la situazione sta degenerando rispetto al passato, si sta ingarbugliando in modo nebuloso . In passato c’era più rispetto e affetto tra parenti. Ora le famiglie, i parenti sono fonte di dispiaceri. Si preferisce amare degli sconosciuti piuttosto che i componenti della propria famiglia. E’ come se la gente liberandosi dei parenti si fosse alleggerita di un peso. La nuova moda è quella di considerare un parente alla stregua di un estraneo. Allora accadono fenomeni all’apparenza inspiegabili: madri respinte dalle nuore in cucina al momento di preparare i pasti, come se la suocera dovesse attendere in salotto come una qualunque ospite l’arrivo delle pietanze, nipoti respinte dalle zie nel loro approccio nella camera da letto con il solo scopo di giocare, zie che non vogliono fornire alle nipoti, cugine ecc una ricetta di cucina o un modello di un abito, giocattoli strappati di mano a nipoti innocenti, nonne che non rispondono al citofono alle nuore perché sono in vestaglia . In questa visione deformata, distratta, ostinata  si è perduta l’intimità, la complicità. C’è un cocciuto rifiuto dell’altro, anche se parente, anzi proprio perché parente. Manca la volontà di comprensione e il parente diventa un ospite come un altro, come un conoscente. Non tutti sono consapevoli di questa disgrazia. Certi comportamenti ci sorprendono e ci colgono impreparati, non essendo allenati. Intanto le parole diventano rare, le frasi reticenti, l’aria familiare rarefatta. Il risultato è spesso la fuga da queste trappole familiari. Siamo incapaci di parole sincere, di abbracci, siamo avari, incapaci di spontaneità. Non facciamo salire in casa un parente per tutta una serie di pregiudizi, per non mostrarci vulnerabili, magari in pigiama con la febbre. Allora passiamo tutto il tempo a nasconderci, dagli altri, dai parenti per non lasciarci cogliere sul fatto, impreparati, privi di difese. Con tutti, parenti compresi, recitiamo la parte di persone realizzate, complete. Solo a casa analizziamo la nostra situazione e ci rendiamo conto che non possiamo mai più gettare la maschera mostrarci per quello che siamo, senza trucco, senza tacchi, senza carattere. Preferiamo per quieto vivere adattarci probabilmente per ottenere una apparente serenità. La sera quando rientriamo stanchi avremo forse desiderio di una persona in cucina, di un cugino in salotto pronto ad accoglierci a vederci in pigiama, con l’accappatoio e i calzini di lana per il freddo. Invece continuiamo come estranei anche a se stessi. La soluzione sarebbe tentare un riavvicinamento che non sempre abbiamo intenzione di concludere. Intanto i giorni passano e la maschera che ci siamo costruiti preme pesante sul volto, estranea essa stessa.

 

Ester Eroli

 

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