Concetto di riduzionismo e le sue implicazioni

Concetto di riduzionismo e le sue implicazioniUn risultato importante raggiunto dalle neuroscienze moderne consiste nella spiegazione, più o meno comprensibile, di alcune complesse funzioni cognitive tipiche dell’essere umano. Visione, udito, le capacità percettive in generale, sembrano dispiegarsi e mostrare i loro intimi processi con relativa semplicità, alla luce di nuove teorie di sfondo, sufficientemente potenti e raffinate. La tendenza copre anche alcuni aspetti psicologici: comportamenti ed attitudini particolari, assunti in circostanze quotidiane o meno, vengono intesi secondo concetti di funzione o stato mentale, in altri termini ridotti alle loro componenti essenziali e “cerebrali”. Anche i sentimenti subiscono lo stesso trattamento, equiparati così facendo a momenti o valutazioni incorporate eseguite dal cervello stesso. Come segnalato poc’anzi, la tendenza che accomuna tutti questi argomenti è altresì detta riduzionismo. In generale, il riduzionismo sostiene che gli enti, le metodologie o i concetti di una scienza debbano essere ridotti a dei minimi comun denominatori o a delle entità il più elementari possibili, in questo caso ai complicati e numerosi processi elettrochimici che si manifestano nella nostra testa a livello neurale.

Una sorta di rasoio di Occam, ma con lame molto affilate.

Per quanto la portata di queste teorie esplicative sia grande, in fondo si corrono alcuni gravi potenziali rischi. Eccone alcuni: recentemente è stato scoperto che la sensibilità alla anoressia, ossia la facilità o propensione a diventare anoressici, è dovuta ed in alcuni casi legata ad un mancato corretto sviluppo di una zona del cervello, zona adibita alla rappresentazione del sé, del proprio corpo. Tale notizia desta un certo scalpore, poiché se adottiamo un punto di vista riduzionista, la malattia viene ricondotta alle componenti organiche determinate da un meccanismo, meccanismo molto semplice a dirsi: il cervello, purtroppo, funziona così. Sotto questa ala, si cova l’equipollenza tra anoressia e – provocatoriamente – lobotomia. Sarebbe quindi profondamente ingiusto lanciare un messaggio di questo tipo, messaggio che priva il contesto sociale del malato o della sofferente di molte se non da tutte le responsabilità: ricordiamo infatti che questo disagio, serio e non da sottovalutare, non isola in primo luogo chi ne subisce le conseguenze, ma sovente è un lungo processo corale in cui la percezione del proprio corpo viene lentamente deformata da segnali contraddittori (televisione, pubblicità, famiglia, educazione ma anche traumi o motivi di scarsa autostima).

Un altro caso, forse ben più noto, riguarda l’ossitocina, un ormone peptidico di 9 amminoacidi secreto dalla neuro-ipofisi. Questo ormone è comune in molte creature, tra le quali, naturalmente, l’essere umano – di fatti nella donna interviene come stimolo delle cellule dei dotti lattiferi durante l’allattamento. Esperimenti su animali hanno mostrato l’importanza di tale ormone, tanto nell’accoppiamento come nel comportamento nei confronti della prole. Questo ormone è per di più responsabile delle capacità empatiche, cioè di comprensione dello stato d’animo altrui ed è inoltre un importante agente biologico tipico dell’innamoramento. In tal caso, l’ossitocina è la causa materiale di molti comportamenti, sensazioni, progetti, emozioni che contraddistinguono l’essere umano ed alcuni mammiferi vicini all’uomo. Ridotti ad un mero secreto, come attribuire però impegno, coscienziosità, dovere, serietà se le forme in cui compaiono questi attributi sono legate alla salute del sistema endocrino, al suo puntuale funzionamento? La domanda qui sollevata rende complicata la vita per il riduzionismo, senza però toglierne gli effettivi pregi: è ben noto e segue una logica abbastanza semplice che un maggiore dosaggio di ossitocina può aiutare, ad esempio, i pazienti affetti da depressione o coloro che hanno difficoltà nelle relazioni personali e in quelle sociali.

Ciò che il riduzionismo non può spiegare, almeno per il momento, è l’incapacità di tenere in considerazioni fenomeni ideali ed attitudini socialmente condivise: assumersi la responsabilità delle proprie azioni, questo semplice fatto, sembra difficile da incastrare o da concepire in una teoria esplicativa di questo tipo; mal si accorda e stona in modo contro-intuitivo. Certo è vero che tutto ciò non implica necessariamente che la riduzione sia impossibile, piuttosto per chi scrive sembra improbabile che questa avvenga in tempi rapidi e soprattutto non alla luce dei difetti evidenziati, dei suoi rischi nascosti, dei suoi messaggi “subliminali” che porterebbero ad accettare una certa natura umana come inevitabile. Come lo scorpione di Kafka, che punge mortalmente la rana alla quale aveva chiesto un passaggio, anzi diversamente dallo scorpione si deve considerare questa natura non come fatale, meccanica ed inoppugnabile, ma come profondità da esplorare, come possibilità.

 

Marco Morgante

 

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