La decrescita secondo Serge Latouche

La decrescita secondo Serge LatoucheTra gli incontri di Torino Spiritualità, l’evento annuale dedicato a riflessioni e dialoghi su religioni, filosofie e non solo, è risultato di grande interesse quello, affollatissimo, sulla decrescita e la frugalità con Serge Latouche, il filosofo e economista francese teorico di questo, e lo psicologo Paolo Legrenzi, che alla sobrietà ha dedicato alcuni saggi, dopo aver conosciuto per anni gli aspetti del consumismo e della corsa all’arrichimento.

Tanti gli argomenti proposti e gli spunti lanciati nel corso della conferenza, tra l’altro all’indomani della notte che ha visto migliaia di giovani e non solo, in un Paese in cui ci si lamenta, e giustamente, per disoccupazione, lavori sottopagati e precari e costo della vita, mettersi in coda per l’ultimo gingillo costoso della Apple all’addiaccio creando non poca perplessità e qualche contestazione.

Innanzitutto decrescita e sobrietà non vogliono dire tornare a vivere in miseria, ma saper scegliere cosa è necessario e cosa è di qualità e cosa no. Poi occorre combattere contro un modello di sviluppo che vede solo nell’incrementare i consumi, con meccanismi come l’obsolescenza programmata degli elettrodomestici che alimenta i rifiuti, la possibilità di uscire dalla crisi, perché solo con più consumi si crea più occupazione. Un modello di sviluppo che, inoltre, a differenza di quello che predicava l’economista Keynes, non ha permesso alla gente di lavorare meno, ma sta creando il paradosso che a fronte della crescita del numero di disoccupati c’è gente che lavora ancora di più, distruggendo vite e tessuto sociale, e creando un nuovo tipo di dipendenza, quella dei workaholic, i dipendenti dal lavoro.

Il problema è che la sobrietà o decrescita non si può imporre dall’alto: nei Paesi in cui è successo, come quelli dell’ex blocco sovietico, se ne è usciti poi di corsa e sono diventati tra i Paesi più consumistici del mondo, per non parlare della Cina, lontana mille miglia da quello che era ai tempi di Mao, con tutti i cinesi vestiti uguali e che andavano in bici in nome di un’ideologia che condannava l’arricchimento e il consumismo, presto abbandonato a favore di un modello capitalista anche se diverso da quelli occidentali.

Serge Latouche ha parlato di tre ricette per arrivare alla decrescita: rilocazione delle imprese, riconversione alle nuove energie e ad agricoltura più rispettosa della salute e riduzione di rifiuti ma anche di orari di lavoro. E ha detto che per arrivare a questo ci va convinzione, coraggio e consenso.

Tutto ottimo, ma se non può essere imposto dall’alto, cosa si può fare? Entrambi gli studiosi dicono che bisogna partire da se stessi, modificando le proprie abitudini di vita e di consumo. Chiaramente al Teatro Gobetti per l’incontro di Torino Spiritualità c’era tutta gente sensibilizzata sull’argomento, ma fuori quanti possono ascoltare un simile discorso, in un mondo in cui automobile e cellulare sono considerati valori e necessità assoluti e non relativi, e in cui ti dicono che bisogna lavorare sempre di più per avere sempre più soldi, cosa tra l’altro non sempre vera visto che gli stipendi si sono abbassati?

Il seguito alla prossima puntata, in ogni caso chi ha avuto modo, a Torino o altrove, di ascoltare Serge Latouche e/o Paolo Legrenzi, ha senz’altro trovato spunti interessanti per impostare la sua vita in maniera diversa, senza diventare povero, barbone, zingaro o simili. Lo diceva già un certo signor Gandhi qualche anno fa: Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.

 

Elena Romanello

 

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