Disimpegnati

DisimpegnatiEsistono nei tempi moderni molte teorie sulla felicità, su quella felicità che si può manifestare all’improvviso con irruenza, con impeto. Per i moderni la felicità consiste nel giubilo del possesso. La felicità coincide con i soldi, la ricchezza, il potere, il lusso. Solo il denaro anima la vita, ingentilisce gli animi. La gratitudine al destino si mostra solo quando si fanno soldi non quando  si è in salute. La carriera è ambita perché incrementa il reddito, fa entrare solennemente nel mondo della gente che conta. In questo modo di pensare ognuno costruisce il suo impero pensando che sia eterno. Ognuno va avanti per conquistare nuovi spazi per far morire di rabbia la massa invidiosa di chi rimane a terra, indietro.  Chi non c’è l’ha fatta viene guardato con commiserazione, con sguardo sprezzante. I moderni rampanti hanno imparato ad assecondare la fortuna brillante, a sollecitare le occasioni, ad andare oltre pur di primeggiare, hanno imparato a tenere a bada i sentimenti. Quasi tutti gli ambiziosi si sono disimparati a pregare, hanno smesso di pregare, di fare la carità, di innalzare una preghiera se non altro di ringraziamento . Hanno reso omaggio sincero, hanno adorato solo il dio denaro. Hanno dimenticato spudoratamente gli altri per puntare solo alla realizzazione personale. Il punto di forza per loro era la propria individualità. Poi nel loro mondo arido, senza amore, sono piovute le disgrazie mostrando tutta la debolezza del proprio impero. Si sono spaventati, incapaci di pregare di chiedere aiuto al prossimo si sono lasciati morire da soli. A un certo punto è accaduta una cosa indescrivibile. Hanno cominciato a invidiare i miti, le persone semplici, quelle che non contano. Quella massa indistinta che la mattina si alza presto per andare al lavoro, che prega prima di coricarsi, che non lotta per la supremazia, che aiuta gli ultimi, che ha uno sguardo per tutti, che si occupa volentieri degli altri, che con timida dolcezza soccorre i disperati, che conduce una vita rustica, senza lussi, che frequenta posti normali non di moda, che mangia in modo frugale, che non desidera stare al centro dell’attenzione, che considera i soldi un mezzo non un fine, che risparmia pur avendo soldi, che la sera al chiasso di un locale preferisce la televisione in casa con la famiglia. Lentamente sono tornati ad invidiare gli umili per una sorta di sentimento di emulazione, per un senso di infinita pace che trasmettevano simili comportamenti, per il presentimento che in fondo quella poteva, doveva essere la felicità. La felicità può essere una visita in un ospedale, a un cimitero, una carezza a un disabile, l’aiuto a un anziano, una passeggiata con una persona sola, una cena con amici soli. Si può essere felici davanti al sorriso di un bambino, durante un pellegrinaggio, nella comunanza sincera di una comunità di una qualsiasi religione. Il concetto di felicità può comprendere una gita con anziani, una parola amica a una vedova. La sera, dopo una buona azione, si può anche pregare, se non si crede, si può pregare il proprio io di essere meno crudele e arrivista, è già una preghiera importante, un impegno serio. Invece la nostra è divenuta la società del disimpegno. I giovani studenti non tornano a casa per certe festività per evitare le noiose riunioni con i parenti. Preferiscono una fredda birreria al calore di una casa.

 

Ester Eroli

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.