Editoria di cartello

Editoria di cartello Acquistare un testo scolastico o un libro è un gesto compiuto dal 60,5% della popolazione con più di sei anni, quindi, per quanto sia in aumento il numero di famiglie che dichiara di non possedere neppure un libro che non sia un volume enciclopedico in casa, la maggior parte dei noi ha avuto almeno una volta nella vita un testo tra le proprie mani (Istat, 2006).  Meriterebbe, perciò, porsi delle domande.

La prima domanda che ci poniamo è perché in Italia sia stato necessario che agli insegnanti delle scuole dell’obbligo si imponesse di non superare un tetto massimo nella lista dei testi da acquistare ex novo per ogni anno accademico.

E ancora come mai la crisi economica non intacchi il mercato editoriale al punto da produrre una politica di contenimento sui listini dei libri. Il mercato dei testi scolastici è legato a doppio filo a quello librario, dato che le case editrici nate come scolastiche sono divenute anche promotrici di altri generi e viceversa. Senza considerare che il 7% di chi legge (Istat, 2007), acquista il testo da un periodico o un quotidiano, ritenendolo più conveniente. Un esempio su tutti è la Mondadori, comunemente associata ai testi di narrativa, ma che trae linfa vitale da altri settori interni quali la Mondadori Educational, la Paravia e la Pearson, come si può constatare dal sito ufficiale della stessa casa madre. Nulla di strano in tutto ciò. Se non fosse che ai due settori della Mondadori si aggiungono altre, in verità poche, case editrici che assieme alla suddetta coprono più del 60% del mercato editoriale scolastico. Sono nove in tutto e, oltre alla Mondadori Educational e alla Mondadori-Paravia-Pearson, annoverano Il Capitello, De Agostini, Giunti, SEI, Principato, RCS Libri e Zanichelli. Ad eccezione del mondo accademico, in cui spesso le università affidano la pubblicazione dei propri testi alle rispettive case editrici universitarie, i nove editori scolastici determinano i prezzi di vendita dei libri, avendo formato di fatto un cartello, che né in una società ed economia liberale né in uno Stato dell’Unione Europea potrebbe esistere. A giungere alla conclusione che si possa e debba parlare di “cartello” è stata l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nel gennaio 2009. Ecco spiegata la necessità di un intervento statale volto a frenare la crescita dei prezzi dei testi scolastici.

Alla seconda domanda, inerente il mercato editoriale in senso lato, ossia quello che spazia dal tempo libero alle indagini d’inchiesta, dai classici alla prima infanzia, la risposta ripresenta l’ombra del cartello, se è vero che a monte di più di 10000 case editrici censite del 2010 dall’AIE (Associazione Italiana Editori) e dall’Istat, il 67% del fatturato complessivo, pari a 2,5 miliardi di euro, è stato incassato in diversa misura da sei grandi gruppi editoriali. Si tratta di Feltrinelli, Giunti, Mondadori, De Agostini, RCS e GEMS. Quest’ultimo probabilmente dirà poco, perciò si precisa che l’acronimo sta per “Gruppo Editoriale Mauri Spagnol” ed è il proprietario di Garzanti e Longanesi, mentre detiene un’importante quota di azioni di Laterza e Chiarelettere. Il 23% del mercato, pari a 819 milioni di euro, è nelle mani di altre cinquanta case editrici.  Ora, due considerazioni. La prima è che dei titoli pubblicati nel 2008 ben il 60% non ha venduto neppure una copia, stando ai dati dell’Istat. La seconda è che dei 59000 titoli pubblicati nello stesso anno solo 10000 sono dei testi letterari moderni. Dunque, la maggior parte dei titoli pubblicati rimangono invenduti e di quelli pubblicati solo una minima parte sono opere prime o comunque mai pubblicate prima. Il che significa che il mercato regge principalmente sui classici, spesso fatti acquistare da insegnanti, oppure su firme di prestigio del panorama nazionale e non solo, tra cui si annoverano i cosiddetti bestseller.

Chi raggiunge le 2000 copie, il minimo perché una casa editrice ristampi il testo, oppure le 7000, traguardo ritenuto di buon auspicio per l’investimento futuro sullo scrittore o poeta in questione, o traguardi ancora più considerevoli, non guadagna che una minima parte, che è proporzionale al numero di copie vendute, a sua volta legato a quanto la casa editrice decide di investire sull’autore in termini di promozione e commercializzazione prima e distribuzione poi. Soffermiamoci, ora, sulla ripartizione del prezzo di copertina di un libro che ciascuno di noi prende in mano. Il 30% va alla libreria, un altro 30% va al distributore (15% per la distribuzione, 10% per la commercializzazione e la promozione, 5% per il deposito), il restante 40% va all’editore (dal 5% al 15% va all’autore, dal 20% al 15% allo stampatore, il 4% allo Stato sottoforma di Iva). Dunque, all’editore resta un 15% netto, mentre all’autore una percentuale che spazia dal 5% al 10% nella più rosea delle previsioni. In aggiunta ogni casa editrice può contare su un finanziamento pubblico, da cui oggigiorno dipende in maniera strutturale, per cui, denuncia l’Antitrust alla fine di un’indagine conoscitiva iniziata nel 2007, è quasi inevitabile il rischio di accondiscendenza verso chi gestisce l’erogazione di tali finanziamenti. In breve, è lecito nutrire forti dubbi circa la capacità che il cartello editoriale non sia influenzabile almeno nella pubblicazione di titoli, essendo oramai le testate quasi tutte emanazione di una corrente politica.

Tra i generi che trascinano il mercato editoriale non si trovano i quotidiani, surclassati dal crescente uso del web 2.0, in cui la partecipazione del lettore è attiva e può esplicitarsi in influenza delle future decisioni del leader. Al contrario si trovano i romanzi, che si posizionano saldamente al primo posto della classifica, seguiti dai libri per la casa, i gialli, i noir, le guide turistiche, i libri umoristici (Istat, 2006). Dunque, la narrativa, soprattutto se si tinge di rosa, fa da traino delle case editrici piccole e da cartello.

Tanto che si può concludere che con una riflessione di Gramsci, che nel 1918 scriveva: “Se gli italiani non vogliono annoiare i lettori, devono scrivere sulle donne, i cavalieri e gli amori (le armi sono bandite e riservate agli inviati speciali)”.  Sempre che le verità degli inviati speciali non cozzino con la libertà del cartello editoriale e di chi lo finanzia con denaro pubblico, ovviamente.

 

Pamela Cito

 

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