Esempi di colonizzazione

Esempi di colonizzazioneI primi anni di lavoro li ricordiamo sempre come un periodo di entusiasmo, denso di obiettivi . Pieni di energia ci siamo dedicati totalmente alla nuova occupazione. Ci sentivamo attratti dall’ambiente, dalle persone, dal ruolo. Abbiamo subito il fascino del nuovo. Poi lentamente nell’abitudine sono affiorate le prime incomprensioni, ci sono stati i primi scontri, i primi rifiuti, le prime beghe, le prime crepe e magagne, le prime inattese delusioni . Abbiamo dovuto sentire le conversazioni fatue dei colleghi, le loro sconce allusioni, i loro ridicoli commenti,  subire le spavalderie dei dirigenti, gli impeti dei capi, tollerare la superbia degli idioti, sottostare alle regole e alla organizzazione rigida, rinunciare a rispondere male, lavorare al posto di un collega fannullone, litigare con qualcuno per futili motivi. Abbiamo sentito l’astio ribollire dentro, la stizza prendere l’anima e sporcarla. Abbiamo rimpianto le ore piacevoli trascorse fuori del lavoro, in compagnia del nostro mondo. Siamo andati al lavoro con aria pensierosa, un po’ irritati, con sguardo malevolo, di pessimo umore . Irascibili e orgogliosi, seccati abbiamo smesso di bere caffè in compagnia dei colleghi, di parlare del nostro privato, di fare confidenze . Ci siamo chiusi irritati nella nostra nicchia senza essere irosi. Mai siamo stati acidi e maleducati. I nostri sogni luminosi sono divenuti incubi rovinosi pensando all’ambiente di lavoro. Nel nostro isolamento abbiamo indurito il cuore, siamo divenuti più indifferenti. In certi casi non volevamo far altro che uscire e sparire da quella situazione. Il rapporto di lavoro duraturo, che all’inizio ci faceva gioire, ci è sembrato una catena. Caos e incertezze ci hanno tolto apertamente la serenità. La realtà ci sembrava alterata, insopportabile, densa di sofferenze . Abbiamo avuto problemi di concentrazione, di relazione, siamo stati preoccupati di non riuscire, siamo stati sul punto di impazzire per la rabbia. Solo nel profondo del cuore ci sentivamo a posto con la coscienza. Tuttavia in alcuni casi ci dava fastidio lo sguardo insolente e indifferente, di sussiego, di alcuni capi, lo sguardo nemico di alcune donne superbe. Fino alla fine abbiamo conservato pensieri neutri, sguardi sereni traendo conforto dal nostro mondo interiore. Ci siamo limitati ad annotare le contraddizioni, gli sbagli, gli sbalzi d’umore, con il desiderio nascosto di sfuggire lontano. Poi un giorno ci siamo resi conto di aver toccato il fondo. Infatti non avevamo ancora compreso pienamente l’esistenza di un fenomeno particolare. Ogni nuovo capo, a seconda della sua provenienza geografica, consentiva l’ingresso sul posto di lavoro di numerosi suoi conterranei. Cercava di assumere in altre parole persone provenienti dalla sua terra. Con sfrontatezza si lasciava da parte il merito. Ci trovavamo di fronte a un nuovo caso umano: la difesa solenne delle proprie radici. Apprezzabile l’attaccamento alla propria terra ma rimane il fatto che tutti gli altri sono fuori della porta, di quella porta che non si aprirà mai. Così ogni zona, complesso, sede, ufficio ha le sue colonizzazioni, invasioni di campo di gente proveniente solo da certe aree, gente che ha avuto la fortuna di nascere bene, privilegio di pochi.

 

Ester Eroli

 

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