Federico Cusin, fantasioso interprete dell’esistenza (parte 2/4)

Federico Cusin, fantasioso interprete dell’esistenza 2Negli anni Venti anche a Venezia si risentiva del clima del “ritorno all’ordine”, dopo gli sconvolgimenti della prima guerra mondiale e, nelle esposizioni locali, veniva molto apprezzato un linguaggio grafico di stampo tradizionalista; contesto sicuramente favorevole per Cusin che fu invitato a proporre le sue opere, con scadenza quasi annuale, alla Biennale di Venezia fino al 1948 e alle mostre della Fondazione Bevilacqua La Masa, dove continuò ad esporre, nonostante i cambiamenti in atto, fino al 1962, oltre che in alcune Esposizioni Internazionali a Torino, a Roma e all’estero.

Sempre con il suo stile caratterizzato da un impianto accademico e da una grafica rigorosa, di matrice dureriana, l’artista si sbizzarrisce nello sviluppo dei soggetti più vari: riprende i modelli iconografici del passato per raffigurazioni a carattere storico o leggendario come Castello d’amore e Fontana di gioventù, oppure trae spunto dalle visioni apocalittiche dell’iconografia medievale per raffigurare una Venezia annientata dalla pestilenza, sulla quale incombe una spettrale figura femminile con le ali di vampiro, l’allegoria della morte falciatrice.

In altri disegni si avvale della prospettiva rinascimentale per delineare la veduta di Venezia a volo d’uccello, come nell’opera Il supplizio della cheba presentato nel ’23 alla Quadriennale di Torino, che raffigura la punizione prevista nel ‘500 per i preti bestemmiatori, destinati ad essere rinchiusi in una gabbia appesa al campanile di Piazza S. Marco per diventare oggetto del pubblico ludibrio.

Il disegno a china La ventata raffigura, invece, un ponte che si eleva sullo sfondo deserto della laguna, dove alcune figure di passanti, vestite con abiti di foggia settecentesca, si sforzano di mantenere l’equilibrio, mentre sono travolte da una raffica di vento che solleva gli abiti e i mantelli, scompiglia i capelli e impedisce il cammino. Quello che colpisce è la vivacità macchiettistica di queste figure esili e dinamiche, che lottano per procedere, nonostante tutta la forza contraria del vento, concentrata sopra quel ponte. Il soggetto simboleggia con ironia il cammino della vita, irto di ostacoli per ogni essere umano, sempre in bilico tra forze contrarie, ma che in ogni modo deve continuare il suo corso.

Un aspetto ricorrente della produzione grafica di Cusin consiste proprio nella sua intenzionata adesione ai modelli iconografici del periodo storico a cui appartiene l’evento raffigurato, secondo una visione ora tardo-gotica, ora rinascimentale, ora settecentesca; con estro creativo quindi rielabora un soggetto adattando la prospettiva, le immagini, oltre che le usanze e i costumi, al contesto storico rappresentato.

 

Antonietta Casagrande

 

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