Consapevole di essere rimasto ancorato a linguaggi artistici ormai superati, anche Cusin, in questo periodo, seppe rinnovare il suo stile, sperimentando soluzioni grafiche in linea con le tendenze della Metafisica, dell’Astrattismo, ma anche ricorrendo ad un moderato Espressionismo di derivazione tedesca, abbinato allo sviluppo di originali motivi decorativi.
Iniziò quindi, dal ’45 in poi, una entusiasmante ricerca personale in disegni a china caratterizzati dal contrasto netto del segno bianco e nero, ma anche dall’abbandono dei canoni prospettici tradizionali, a favore di una riduzione delle profondità spaziali, e dallo sviluppo di fantasiosi motivi geometrici.
A partire dalla metà degli anni Quaranta Cusin iniziò a dedicare più tempo alla pittura ad olio e ad acquerello, su tela o cartone, sviluppando un’arte figurativa in cui i soggetti veneziani ed eruditi lasciano il posto ad un’acuta ed ironica indagine sull’uomo e il suo ambiente.
Nella produzione pittorica, tuttavia, non ricerca le novità, rimane fedele ad un linguaggio espressivo del passato, precisamente allo stile degli artisti tedeschi che negli anni Venti avevano dato vita alla corrente della Nuova Oggettività, e si avvale di immagini caratterizzate da semplificazione formale, dipinte per ampie campiture cromatiche, arginate da contorni e inserite in un contesto spaziale prospettico, per illustrare gli umori della gente, l’ipocrisia di certe credenze, la gioia e la sofferenza, l’operosità umana che si manifesta nelle attività più umili, ma anche l’enigma e il meraviglioso che si celano dietro all’ apparente familiarità di un evento, conforme alla poetica del Realismo Magico.
Del resto Cusin conosceva a fondo l’arte tedesca per aver soggiornato più volte a Monaco, definita nei suoi appunti “ la Roma del Nord”, e a Berlino, “città più allegra e vivace di Vienna e simile a Parigi”. Si dichiarava inoltre contrario ad un totale “sovvertimento dell’ordine classico, come quello attuato dai fauve e dai cubisti, che induceva a cominciare la pittura daccapo, riducendo tutto ad un intarsio colorato”.
Ma non mancano nemmeno i dipinti dove prevalgono i puri giochi decorativi come l’acquerello Giocoliere, non datato, o quelli di impronta impressionistica come il paesaggio fluviale del Brenta, Primavera sul Brenta, presentato alla mostra di paesaggio, svoltasi a Padova nel 1950.
L’artista propone con scadenza annuale i suoi dipinti alle Mostre della Fondazione Bevilacqua fino al 1962, ma un nuovo regolamento, che fissa a trentacinque anni l’età dei concorrenti, gli impedisce di continuare ad esporre le sue opere.
Un’opportunità di far conoscere perlomeno le sue sperimentazioni grafiche gli viene, comunque, offerta in occasione dell’ unica Mostra personale della sua vita, organizzata per iniziativa di Guido Perocco nel 1963, a Palazzo Reale in Piazza S. Marco, cui acconsente non senza molte insistenze.
Il giorno dell’inaugurazione, il 30 marzo, gli viene conferita dalle autorità comunali la medaglia d’oro per la generosa dedizione prestata alla scuola e all’arte.
In seguito l’artista continua sfruttare la raffinatezza del suo stile nell’illustrazione di copertine, di guide turistiche, di tessere e di diplomi, e a sperimentare nuove soluzioni grafiche, incurante del passare degli anni e dell’età avanzata.
Si spegne a Venezia all’età di 97 anni, il 27 ottobre del 1972, ma solo recentemente si inizia a valorizzare il suo contributo alla storia dell’arte veneziana del ‘900.
Antonietta Casagrande
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