Giansante Brancorsini

Giansante BrancorsiniNel 1343 in un paese vicino Urbino, in una casa di campagna, da una famiglia ricca e nobile, religiosa,  sua madre apparteneva alla famiglia Ruggieri, nasce Giansante Brancorsini. Da piccolo era devoto della Vergine e costruiva altari di legno a cui metteva i fiori del suo giardino. Dalla famiglia fu subito avviato alla carriera militare e agli studi nelle scuole urbinate  e poi allo studio del diritto nel capoluogo di Urbino con l’intento di farne un avvocato. Da giovane all’età di venti anni  però assistette alla rissa fra un amico e un parente, rissa che tentò di frenare separando i due contendenti. Dopo la lite Giansante si rifugiò in casa ma fu seguito e minacciato. Per legittima difesa reagì e aggredì il rivale parente  con uno spadino, arma che portavano tutti i giovani nobili dell’epoca, e lo colpì alla coscia sinistra provocando una ferita aperta che causò una infezione a causa della quale il compagno di giochi morì. Per il fatto fu assolto dal giudice.  Questo fatto improvviso scatenò la sua angoscia, il suo bisogno di pace e di perdono  e lo spinse a entrare ancora giovane nel convento dei frati minori di santa Maria Scotenato, vicino Mambaroccio  dove si recò a piedi e scalzo  portando poche cose. Nel convento  volle essere accolto solo come fratello laico con il nome di fra Sante. Vestì il saio francescano che portò fino alla fine logoro e rattoppato. Nel convento si dedicò con umiltà  alla penitenza, alla preghiera, al digiuno. Non volle mai incarichi. Si limitava a pregare in un angolo, a cadere in estasi . Nel convento si occupava principalmente dell’orto, della cucina, del camino, della raccolta della legna, della elemosina, della salute dei confratelli. Girava sempre per le elemosine con una bisaccia logora. Per penitenza si feriva e digiunava mangiando solo erbe. Amava gli animali e allevava galline e uccelli che lo seguivano ovunque . Girava con un asino che fu assalito da un lupo che riuscì ad ammansire tanto che dopo fu il lupo  ad aiutarlo nel trasportare la legna con grande stupore dei confratelli.  Si dice che addolcì anche un toro  e compì molti prodigi sia in vita che in morte, specie guarigioni  .  Portava sempre del cibo con lui per darlo ai bisognosi. Divenuto poi maestro dei novizi chiese a Dio di poter avere lo stesso dolore alla gamba dell’uomo da lui ucciso. Così gli si aprì una piaga ulcerata nella gamba sinistra che lo costringeva spesso a stare al letto, che consisteva in una stuoia in terra. Durante una malattia chiese di avere delle ciliegie in pieno freddo e i confratelli trovarono una albero ricoperto stranamente di frutti maturi. Fu educatore di bambini e ragazzi, protettore di poveri e infermi . Nel convento dimorò per ben 23 anni fra mortificazioni, disciplina e esercizi spirituali. Il 15 agosto all’età di 51 anni morì e si dice che sul campanile del convento brillò una luce, simbolo della sua anima. Il suo corpo gracile nella morte divenne bello  e profumato segno di santità. Durante i funerali fu protetto dalle guardie perché la gente lo considerava già santo e voleva delle reliquie. La sua fama di taumaturgo si era diffusa. All’inizio fu messo nella fossa comune dei frati nonostante il parere contrario della gente  e delle autorità. Siccome videro sorgere un giglio sulla sua tomba all’altezza del cuore, fu disseppellito e collocato nella chiesa in una modesta tomba alla sinistra dell’ingresso. Dopo la ricognizione delle sue ossa voluta dall’arcivescovo di Urbino la salma fu collocata in una cappella a lui dedicata sotto l’altare in fondo alla navata minore.  Il corpo fu messo in una urna del 700 in legno dorato. Fu proclamato beato dal papa Clemente IV. Il santuario, dotato di un campanile del 700  e di un chiostro,  francescano, nella provincia di Pesaro,   che ospita la tomba si trova alla sommità di un colle. Fu fondato nel duecento dai francescani quando san  Francesco era ancora in vita. Il santuario nel tempo è stato ampliato. La chiesa è a due navate, con portale a stile gotico. All’interno c’è un crocifisso ligneo. Gli affreschi di scuola marchigiana descrivono i miracoli del beato Sante. Nel santuario troviamo anche una sezione permanente di arte sacra che ospita cinquanta dipinti in tre sale di artisti di area marchigiana. I dipinti sono ispirati alla vita di san Francesco, di Cristo, del beato Sante. Il santuario in tempo di guerra ha ospitato anche rifugiati ebrei. Spesso accade nella vita di ognuno che un fatto improvviso da alla esistenza una piega diversa, stimola ad approdare in altri lidi come è avvenuto per il beato Sante.


 

Ester Eroli

 

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