La cultura del rispetto

La cultura del rispettoUn modello cultural-politico degno di considerazione non può prescindere dalla cultura del rispetto e dal rispetto della cultura, valori sempre più flebili nella politica del nostro Paese. Le attuali condizioni del nostro stato sociale impongono di lanciare un’idea di gestione della Cosa Pubblica che sia in grado di scavalcare, finalmente, i partiti politici, senza più bisogno, quindi, di promesse elettorali e che crei una netta dicotomia con l’attuale consolidata mentalità clientelare dei nostri politicanti.

Bisognerebbe che sorgesse una nuova generazione di menti illuminate (non molte) che sviluppasse un nuovo sistema politico-economico realistico e propositivo, concreto e di facile comprensione per tutti. Un sistema che facesse riavvicinare la gente alla politica, che sapesse parlare al cuore e al cervello delle persone, senza infastidirle, che riuscisse a farsi delle domande sulla decadente situazione attuale e rispondesse con argomenti esaurienti e comprensibili. Il risultato? Sicuramente il ritorno alla cultura del rispetto che, diverrebbe così un credo, un cult, se preferite un vocabolo di moda.

E’ utopia?

Se consideriamo gli esempi reali tratti dalla storia politica del nostro Paese, scopriamo che la libera concorrenza non ha favorito una maggiore efficienza, bensì una maggiore concentrazione di ricchezza in poche mani. Nei servizi pubblici poi, le privatizzazioni hanno finito per produrre, in molte occasioni, servizi inefficaci ed inefficienti. Il privato infatti per definizione non può rinunciare al profitto e, spesso, per mantenere utili e costi di esercizio sotto controllo alza i costi a scapito della qualità del servizio fornito. Finisce così che, la competizione economica che, dovrebbe creare il regime di concorrenza, di sovente è fasulla, perché le società più ricche e potenti eliminano i competitori più piccoli, sebbene proprio questi ultimi forniscano prodotti di migliore qualità. Nei settori di mercato che fanno gola alle grosse aziende poi, si verificano grossi accorpamenti che dividono “la torta del business” in tre o quattro fette al massimo. E’ questo il libero mercato? No. E’ oligopolio! In un libero mercato che si rispetti, l’acquirente deve poter scegliere su un’ampia gamma di possibilità.

E’ evidente a tutti come i colossi economici finiscano per condizionare le scelte di politica economica del Governo, cui sfugge la possibilità di controllo delle grandi Aziende sia nei bilanci sia nella gestione delle maestranze e del personale. Le ultime vicende riguardanti la FIAT ne sono un chiaro esempio. Il Lingotto negli ultimi decenni della sua storia ha fagocitato tutte le aziende automobilistiche di marca italiana, permettendosi di avere sorte di privilegi e leggi speciali, infischiandosene dei reali problemi del costo del lavoro, dei diktat dei sindacati, delle direttive dello Stato.

E’ sempre più il paese dei furbi. Chi conosce il mondo del lavoro sa bene che lo svolgere la propria attività professionale, artigianale , commerciale o impiegatizia che sia, con onestà, dedizione e competenza, spesso viene sopravanzato o addirittura scalzato da personaggi che godono appoggi del potentato e della politica! Detto malcostume ormai così radicato e diffuso specialmente nelle Pubbliche Amministrazioni ha prodotto una crescente inefficienza del sistema burocratico.

Ma la Storia ci insegna che le furbe società monopolistiche, sono destinate, a lungo andare, ad una lenta agonia, né più né meno come qualsiasi regime totalitario. Perché solo con una sana e libera competizione sorgono le idee e solo rispettando le regole etiche e procedurali è possibile lo sviluppo!

Il progresso sociale, come diceva il grande Voltaire in una delle sue opere filosofiche più famose (Il trattato sulla tolleranza del 1763), non può prescindere dalla cultura del rispetto.

 

Adriano Zara

 

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