Il Ddl n 1905 aggiunge un tassello al piano di riduzione della presenza pubblica nell’Università e di promozione di un modello di scuola privatistico. A questo piano s’ispirano i tagli strutturali decisi lo scorso anno dal Governo con la legge 133/2008. L’art. 66, comma 13, prevede tagli pari a 63,5 milioni di euro per il 2009, 190 milioni di euro per il 2010, di 316 milioni di euro per il 2011, 417 milioni di euro per il 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dal 2013. I tagli all’istruzione da parte dello Stato costituiscono una ferita profonda inferta alla crescita culturale di un Paese, che tra vent’anni si ritroverà senza memoria. Tagliare la formazione sia essa di primo, secondo o terzo grado, costituisce sempre un vulnus, una rottura, le cui conseguenze andrebbero ben ponderate, alle luce di un testo costituzionale che tutela e incentiva lo sviluppo e la ricerca. Oltre i tagli, l’altro punto controverso di questo disegno legislativo, è “la precarizzazione” dei ricercatori. I 25mila ricercatori italiani sono i più colpiti dal punto di vista economico e di carriera dall’effetto congiunto della manovra finanziaria e della riforma universitaria, che, oltretutto, prevede la scomparsa della figura del ricercatore entro il 2013. In futuro, infatti, la loro figura sarà sostituita da un altro tipo di ricercatore a tempo determinato, con un contratto triennale prorogabile per soli tre anni per una sola volta, al termine del quale se non riusciranno a vincere un concorso per docente, dovranno andare a casa. Queste manovre serviranno realmente a contrastare i problemi in cui versano le Università italiane? Qualche anno fa, Cristina Zagaria, giornalista e scrittrice, ha pubblicato Processo all’università, in cui raccontava i paradossi dell’insegnamento universitario, e a cui in qualche modo bisognerebbe porre fine.
La verità è che Il sistema universitario presenta ancora tante zone d’ombra, ma quello che più risulta controproducente, è che l’università reagisce agli scandali«non espellendo il tumore, ma riassorbendolo al suo interno con il minor rumore possibile e con nuovi compromessi, che cementificano il sistema e premiano l’omertà.» Questa riforma sarà veramente in grado di porre fine ad una prassi ormai consolidata, o è solo un imbarazzante tentativo di incentivare la privatizzazione della cultura?
Marina Bisogno