Una fase critica

Una fase criticaNel dopoguerra lo slancio verso la ripresa, dopo la grande paura della guerra, era accompagnato dalla presenza massiccia, in molte regioni italiane, di sacche profonde di povertà. Lentamente, a fatica si affrontava il lungo viaggio verso il futuro ricco solo di aspettative. Gli imprenditori, la gente comune prendeva l’iniziativa con forza. Si era orgogliosi della propria nazione, si era ambiziosi. Ognuno aveva alle spalle una famiglia solida, una cerchia di amicizie, una casa preziosa. Le persone in difficoltà economica si aiutavano senza problemi, senza polemiche, con gesti di tenerezza. Ci si apriva al mondo mettendo le carte in tavola. Ognuno era contento dei progressi che faceva, era felice con se stesso. La gente aveva imparato con l’esperienza della guerra ad amarsi, a donarsi senza rinunce, senza alternative, con coraggio. Poi era venuto il boom economico degli anni sessanta che aveva portato una ventata di ottimismo. Era stato un fenomeno esplosivo ma anche rischioso. Infatti l’idea dominante di quegli anni era quella che solo la produzione industriale poteva salvare una nazione a scapito dell’agricoltura, dell’artigianato. Le terre furono abbandonate per rifugiarsi nelle città, per lavorare nelle fabbriche. Si abbandonò il modello di società rurale considerato superato, da evitare. In questa fase ognuno era attento a curare solo il proprio orto, gli altri non contavano. Il limite dell’urbanizzazione è stato aver creato le città con dentro una massa anonima di gente che stenta a salutarsi persino al mattino. Ognuno si è convinto di essere una persona speciale che non deve rendere conto a nessuno e che può fare a meno degli altri. La vita nelle città è divenuta raffinata. Tutti hanno inseguito il sogno degli abiti firmati dei grandi stilisti, delle auto moderne. Possedere era più importante che essere. Sono nate lotte di potere, lotte di classe. Ognuno ha lottato per il lusso, per il benessere solo per se stesso, senza legare con gli altri. Ogni persona ha creduto di essere migliore di un’altra, di essere più ricca, più potente. Nessuno è andato incontro all’altro. Sono nate gare, antagonismi, sopraffazioni, soprusi, esclusioni all’interno della stessa classe sociale. Si sono accentuate le disparità di classe. Chi era ricco è divenuto sempre più ricco, chi era povero sempre più indigente. Le politiche sociali sono state abbandonate persino dai sindacati. La superbia ha conquistato la classe dirigente ,che si è sentita importante. La crisi economica ha colto tutti alla sprovvista, riducendo drasticamente il potere di acquisto delle persone. La crisi ha ucciso pesantemente i sogni, ha fatto crollare con forza le speranze. Siamo prossimi a un incombente disastro. Possiamo solo raccogliere i cocci. Sicuramente la fase buia che stiamo attraversando è più critica per vari motivi. Abbiamo preso l’abitudine strana di abbondonare il concetto di famiglia, di dimenticare gli amici, di essere di pietra, di lamentarci sempre, di ignorare completamente gli altri, di pensare solo a se stessi, di puntare prontamente solo sulla propria realizzazione, di mostrarci superiori agli altri moralmente ed economicamente, di lottare con impeto solo per la propria agiatezza. Ora sulla scena della crisi si combatte da soli, senza l’appoggio di nessuno. La gente è troppo spaventata per ribellarsi a questo stato di cose. Si continua imperterriti a non salutare i vicini di casa, a ostentare senza delicatezza i progressi raggiunti, la propria presunta ricchezza. Nel disperato bisogno di affermarsi ognuno ha insistito per andare contro l’altro, considerato il nemico, da combattere, da disapprovare. Il carattere stesso della gente ha subito una metamorfosi. Nessuno soccorre gli altri che annegano in una indifferenza generale . i ricchi continuano ad andare in giro a comprare oggetti di lusso, inutili come niente fosse, con aria rilassata, quasi allegra. In fondo il male è degli altri, si trova oltre il confine, oltre il muro delle proprie certezze. Il male, la povertà degli altri non intacca, anzi fa risplendere di più il nostro tesoro. Siamo di fronte a una realtà malata alle radici. Non serve infuriarsi, bisognerebbe agire prima che sia troppo tardi, prima che la dignità dell’umanità venga calpestata definitivamente. Dobbiamo cogliere la palla in balzo, approfittare della crisi per tornare ad essere più umani, anche verso la nostra famiglia. Invece continuano i divorzi, le lacerazioni, le rotture, gli scontri. In fondo è rassicurante il nostro mondo intatto, sono gli altri che divorziano, sono gli altri i disoccupati. Del resto quando colpisce noi dovremo sempre vedercela da soli perché anche le istituzioni sono silenti. Siamo nella fase del silenzio assoluto nel caos delle grandi città. E’ un silenzio che pesa perché nasce nel frastuono e fa ancora più effetto nell’anima.

 

Ester Eroli

 

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