Ogni anno sul finire dell’estate dobbiamo fare i conti puntualmente con l’arrivo, in certe aree particolari del pianeta, di uragani, tifoni di forte intensità. Si formano generalmente nel Pacifico, nei grandi oceani, in prossimità del mare, nelle zone più vicine all’equatore. Si formano sul mare tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno, quando l’acqua marina è più calda. Nell’oceano indiano avvengono tra il mese di Maggio e Novembre. Mediamente ogni anno si verificano ottanta cicloni, tutti riconosciuti e catalogati. Alla fine del ventesimo secolo iniziò la moda di dare un nome a questi fenomeni della natura, anche per distinguerli fra di loro. Si usarono molti nomi di donna. Ora si è presa l’abitudine di alternare nomi tipicamente femminili con denominazioni maschili. Tutti ricordiamo Tracy, katrina. I cicloni tropicali hanno assunto vari nomi si parla infatti di tempeste tropicali, uragani, tifoni. Sono tutti caratterizzati da piogge pesanti e forti e violenti venti capaci di sollevare auto, pali della luce, camion. In alcuni casi si hanno vere inondazioni specie lungo le coste. La popolazione è costretta a evacuare e a rifugiarsi in zone più elevate e collinose. Il nostro pensiero ovviamente va alla gente che è costretta ogni volta ad abbandonare la zona, la casa per rifugiarsi altrove. Ognuno è costretto a portare con sé lo stretto indispensabile. Questi fenomeni sviluppano un grande spirito di adattamento. La solidarietà fra le persone è notevole. Quando accadono queste cose riflettiamo anche su un altro fattore, su un altro concetto, su un’altra parola: essenziale. La gente impara a distinguere ciò che è veramente importante, indispensabile con ciò che invece è superfluo. Ci sono oggetti che ai nostri occhi sembrano pietre miliari ma in caso di emergenza, di allarme non potremo mai portare con noi perché non sono determinanti per la nostra sopravvivenza fuori casa. Ogni esperienza insegna qualcosa. Gli uragani mostrano il lato fragile del nostro mondo di oggetti inutili.
Ester Eroli