“L’addio ai monti”. Lirica sconosciuta degli studenti del sud

L'addio ai monti. Lirica sconosciuta degli studenti del sudRombo di motore, sorrisi stentati ai finestrini, il bus è partito. Scorrono immagini verdi, a volte spelacchiate di qualche monticello incolto, di campi di grano che stanno per germogliare. È un addio momentaneo, ma per sempre. È un momento di pathos così forte che Antigone non ne avrebbe visti di eguali, seppur abbandonando la vita per le leggi d’amore: qui si dice addio non volendo, si dice addio ad un pezzo di vita e di terra, di cuore, che avremmo mai desiderato abbandonare. Qui non ci sono leggi scritte contro cui ribellarsi, e le leggi non scritte non sono degli dei, ma sono fardelli pesanti di una storia ingiusta e male organizzata, opportunistica.

La maggior parte dei sedili è occupata da ragazzi, ragazzi molto giovani, si direbbe appena usciti dal liceo, con le case nelle valigie e un sogno stropicciato messo al sicuro nella tasca dei pantaloni. Lo sguardo ritorna sui finestrini, allora ritorna in mente Manzoni e quell’ora che proprio, al liceo, non andava giù, magari a quell’interrogazione inaspettata che ha visto un bel 4 sul registro, a quel sadico del professore che ha fatto leggere – nonostante avesse capito l’ impreparazione- “l’addio ai monti” di Lucia battendo sull’enfasi , nemmeno fosse l’ultimo singolo dei Muse. Cara scuola, caro paesino, persino caro prof, allora si dirà, inaspettatamente sorpresi dal pathos e dalle parole che scorrono in mente, che si poggiano piano sulle nostre labbra“Addio, monti sorgenti dalle acque  de’ quali si distingue lo scroscio…addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana!”. Eppure, bisogna dirlo, forse urlarlo per capirlo davvero, questo è un addio, un vero addio. Queste parole non sono di una Lucia spaventata dal nuovo e incerta del futuro ritorno: queste parole sono di un qualsiasi ragazzo di 20 anni, spaventato da un mondo diverso, da tempi diversi, dalla diversità di se stesso, dal suo stesso accento, un ragazzo che sa che, anche volendo, non potrà tornare, sa che non ci sarà più posto per lui nella sua terra, se non un piccolo spazio per le festività comandate, che sa che non ci sarà più una casa dolce casa a cui far ritorno, dove lasciarsi coccolare con i sorrisi e i rimproveri, oh dolci rimproveri, dei genitori preoccupati per le sue ragazzate. Sa, quel ragazzo qualsiasi, quel  ragazzo qualsiasi del sud, che, entrando in autostrada, si è lasciato dietro anche una parte di se stesso, che non potrà più essere. Come è amaro l’addio, a quest’età così fragile e tenera da spezzarsi in una mano, com’è amaro l’addio, sapendo di vivere un qualcosa che poteva, che potrebbe essere diverso, che potrebbe essere migliore. Com’è amaro sapere che la mancanza di tutto e la scarsa organizzazione di Stato ed Enti, crea una fuga di cervelli non solo dall’Italia all’estero, ma da Italia a Italia. Com’è amaro vedere tutti questi ragazzi, alle 4 di mattina in autogrill, sorseggiando un caffè, con libri di qualsiasi genere in mano, consunti per la speranza di un futuro, sognanti, perché solo il sogno è rimasto. E c’è gente che dice che i ragazzi di oggi non hanno più sogni, non hanno ideali, sono senza spina dorsale: è a quella gente che bisognerebbe mostrare quanta speranza c’è in quel ragazzo qualsiasi, lo stesso che va nelle piazze a cantare e a gioire per  i 150 dell’Unità d’Italia, nonostante riconosca ci sia una differenza abissale tra la sua regione e il resto dell’Italia che conta, lo stesso che spera che il suo sacrificio possa essere d’aiuto a questa Italia che, crede, con la volontà, potrebbe essere unita e forte per davvero. Manzoni, scriverebbe un nuovo “addio ai monti”, ancora più vivo, su questo ragazzo: lo farebbe arrivare sotto gli occhi  magari del Presidente della Repubblica, scriverebbe di lui come nuovo e buon Napoleone, un Napoleone mai esistito, che vuol solo conquistare ciò che gli spetta e, infine, a piè pagina scriverebbe dei versi sulla speranza di questo ragazzo qualsiasi, la speranza di un futuro senza addii, almeno per i suoi figli e ciò che ne resta dei suoi conterranei.

 

Daniela Perrone

 

Una risposta a ““L’addio ai monti”. Lirica sconosciuta degli studenti del sud”

  1. Ciao Daniela!
    Molto bello il tuo articolo, molto profondo! Hai ragione, non restano che i sogni a noi giovani e per coloro i quali sono costretti ad allontanarsi dalla propria terra devono subire anche il tarlo della nostalgia. Però dici bene, c’è tanta speranza in questi giovani, in questi ragazzi e alcune volte come per magia i sogni possono trasformarsi in realtà. Intanto mi conforta un’aforisma di Andrè Gide; “Non puoi scoprire nuove terre se non accetti di perdere la riva per tanto tempo”.
    Un saluto

    Flavio C.

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