1 febbraio 2001 (Romanzo epistolare)

Una vita difficile romanzo epistolareHo comunicato a mio padre l’intenzione di andare a Lourdes, non voglio perdere tempo con inutili divagazioni. A mio padre non ho detto del sogno. Con lui non ho mai avuto una grande confidenza, tra noi c’è sempre stato una specie di muro, non so chi lo abbia eretto per primo. Forse semplicemente non siamo affini, le sue idee non sono le mie, i suoi gusti non sono i miei, la sua visione della vita non è la mia. Mio padre ha subito opposto resistenza, ha cercato di ostacolarmi come è avvenuto anche in passato. Ha sempre cercato di tarparmi le ali, di impedirmi di spiccare il volo, mi ha privato della libertà sacrosanta di fare esperienze. Ha sempre bocciato le mie iniziative. Io sono uno spirito libero che detesta le costrizioni e vuole volare alto. Sono ribelle nei limiti del lecito e non sono mai stata maleducata nel ribellarmi. So ubbidire e subire gli eventi. In alcune circostanze mi ha aiutato mia madre. Ma ora lei non c’ è a difendermi. Mia padre in ogni situazione vedeva sempre pericoli, mi metteva paura, mi accusava di essere inadatta, come se non avesse fiducia in me. Mi spaventava sempre con le sue terribili e catastrofiche previsioni. Lui era contento solo quando stavo in casa e sedevo alla sua mensa. Ogni viaggio per lui era rischioso, racchiudeva insidie per me. Mi impediva spesso di fare anche una semplice passeggiata. Certo il mondo era corrotto ma non poteva impedirmi di vivere. Non poteva esasperarmi. Doveva infondermi coraggio e invece mi demoralizzava. Alle mie naturali paure lui aggiungeva terrori particolari. Quando uscivo mi sentivo come sui carboni ardenti e non vedevo l’ora di rincasare. Durante le passeggiate non davo confidenza a nessuno, ero sospettosa. Lui mi metteva sempre in guardia. Con mia madre ero più franca, libera, disinvolta, ero me stessa. Con lei uscivo quando lui lavorava o era fuori. Con lui ero un burattino senza fili, un automa, un robot, una bambola imbalsamata, timorosa di tutto, timida. Quando uscivo con lui rigavo diritta non parlavo con nessuno. Seguivo le sue leggi come si segue il Vangelo, pur disapprovando nel cuore. Ero una figlia ubbidiente negli atti ma disobbediente nel cuore. Le mie intenzioni, non manifestate, erano altre. Guai a manifestare il proprio pensiero, si incorreva nelle sue ire, nei suoi scatti di nervi. Meglio non toccare un cane che dorme. Lui mi rendeva più insicura di quello che ero, mi induceva ad avere attacchi di panico. Non essendoci più mia madre ora sono caduta nelle grinfie di mio padre. Lui mi controlla, mi rimprovera in malo modo. Le sue sfuriate sono leggendarie. Tutto il vicinato conosce le sue urla. Non c’è mai verso per fargli cambiare idea. Le sue idee sono oro colato. Spesso mi ha spiato le telefonate, mi ha letto il diario e la posta. Un controllo massiccio, una presenza ingombrante. E’ sempre voluto entrare nella mia intimità morbosamente, carpire i segreti del mio cuore. Ma il suo cuore non si è mai aperto. Il suo atteggiamento oppressivo e super protettivo mi toglie il respiro. Morendo mia madre è aumentato il suo controllo, a cui cerco di sfuggire. Spesso litighiamo e per giorni musone non mi parla. Il mio bisogno di comunicare viene bloccato. Non posso esternare i miei pensieri e sono costretta a scrivere sul diario. Vuole che nel lavoro io sia perfetta, pretende il massimo. Ma io sono un essere umano che sbaglia. La perfezione, la precisione non è di questo mondo. Lui mi vuole puntuale, precisa, sempre sull’attenti ma non sempre sono brava. Vuole che oltre al lavoro faccia traduzioni e ripetizioni, ma io ho bisogno di spazi liberi, di attimi di relax. Non sono un robot tuttofare. Ho ritmi diversi dai suoi. Non riesco, come lui, a fare più cose contemporaneamente. Mi accusa a ragione di essere lenta. I suoi aspri rimproveri mi seccano, mi riducono a brandelli, mi fanno sentire inferiore. Le sue acide battute, dettate dal nervosismo, mi penetrano nel cervello. Mi accusa di essere disordinata, idiota, svagata. Alcune volte credo che io sia come mi descrive e mi sento in colpa. Alcune volte mi ha obbligato a fare scelte che non sentivo. Sono costretta a dare ripetizioni, a fare quello che vuole. Lui stesso mi procura gli allievi da aiutare contro la mia volontà. Io vorrei riposare o dedicami a qualche hobby, che lui giudica privi di valore. Spesso non riesco a fare tutto, a sbrigare tutte le faccende e mi maltratta per questo. Le ripetizioni però mi consentono di rinfrescare le nozioni e di venire in contatto con persone nuove. Ho conosciuto molte mamme dei bimbi che vengono in casa. Forse penso che questo è il suo modo di amare e che faccia tutto esclusivamente per il mio bene. Ognuno ama a suo modo ed è questo che va compreso.

 

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