18 luglio 2000 (Romanzo epistolare)

Una vita difficile romanzo epistolareA sei anni compiuti decisero giustamente di mandarmi a scuola. Mio fratello frequentava le scuole con profitto e aveva ottimi voti. Dovevo seguire il suo esempio. Prima ancora di andare a scuola mi imposero di studiare, sottraendo tempo al gioco. Pretendevano che fossi brava e diligente. Mio padre mi obbligava a seguire un professore privato. Quello che non sopportavo era la competizione, la gara con mio fratello. Ma lui era diverso da me aveva altre aspirazioni. Io non volevo assolutamente studiare, lo consideravo una perdita di tempo. Volevo suonare, dipingere, ricamare. Mi insegnarono il francese alcuni insegnanti privati che venivano in casa per darmi lezioni. Spesso il pomeriggio le lezioni mi annoiavano e avrei voluto correre libera per i prati. Se avessi corso di più! Ora le mie gambe sarebbero più soddisfatte. Invece passavo il tempo seduta a fare compiti, chiusa in casa mentre fuori c’era la primavera. Quanto tempo perduto! Tutto questo studio no mi è servito a niente. A scuola andai in un istituto pubblico, anche se mio padre avrebbe voluto per me un istituto di suore. Io e mia madre combattemmo la prima battaglia e ci ribellammo. Quante battaglie combattute e perse contro l’autorità! La mia classe era composta di bambine, in fondo lo preferivo. Non andavo molto d’accordo con i maschi erano superficiali, dicevano tante volgarità, erano spavaldi, superbi, insensibili. in gruppo si trasformavano completamente diventando prepotenti. Un ragazzino nel gruppo diventava una bestia: violento, sadico, capace di torturare animali, di fare dispetti, di calpestare tutto e tutti con totale indifferenza. Non avevano pietà di nessuno, non avevano sentimenti. Erano come tanti robot carichi di esplosivo, pronti a devastare ogni cosa. La cosa peggiore era che erano maleducati, usavano il turpiloquio, insultavano i più deboli. Spesso mi deridevano se portavo un berretto particolare o le calze a righe. Mi seguivano, mi facevano inciampare. A scuola facevamo dei piccoli lavoretti con la creta, il vetro, con i pennarelli che venivano esposti ma puntualmente questi oggetti venivano distrutti da una classe maschile vicina alla nostra, che entrava di nascosto, quando noi non c’eravamo e facevano scempio di tutto. Spesso lasciavano scritte sui lavori oscene e disgustose da far arrossire chiunque. Feci amicizia con qualche ragazzina della classe, ma alcune erano veramente altezzose e impertinenti, questo dipendeva dall’educazione che ricevevano in casa. La maestra era molto tenera, disponibile, oserei dire troppo arrendevole e alcune se ne approfittavano. Mostrai subito un vivo interesse per il disegno, ma mio padre cercò subito di distogliermi e di spingermi verso la matematica, che io odiavo. Il nostro destino era già segnato a nostra insaputa: mio fratello ingegnere o architetto, io insegnante di matematica. Il grande sogno di papà. Perché i suoi sogni li dovevo realizzare io? Cominciarono le ripetizioni di matematica, visto che mio padre non aveva il tempo da dedicarmi. Non aveva mai tempo per nulla, ma per decidere il mio futuro sì. Dovevo solo seguire la strada che altri avevano tracciato per me. C’era un copione già scritto ed io dovevo solo mandarlo a memoria, solo che io non avevo memoria. Non avevano fatto i conti con la mia antipatia per la matematica, per la razionalità. Ero astratta, svagata, piena di fantasia e immaginazione, potevo fare semmai la pittrice, l’artista. Infatti cominciai a scrivere poesie, avevo un estro particolare, mi mancava la logica. Gli studi matematici non si confacevano alla mia personalità. Tu mi chiederai come ho fatto a laurearmi in questa materia, Sicuramente con sacrificio, abnegazione, esercizio. Comunque niente è impossibile, volere è potere. La mia condizione mi aiutò notevolmente, molti professori per pietà non mi facevano ripetere l’esame tanto sapevano che non sarei andata lontano. Quella laurea era solo un pezzo di carta che non mi sarebbe servita. A scuola scoprii il clientelismo, la raccomandazione. Genitori che facevano regali da favola alla maestra per poter ottenere un trattamento di riguardo. Tutti i genitori pretendono figli studiosi. Non si rendono conto che ognuno ha il proprio talento, la propria vocazione. Non possiamo creare un esercito di studenti svogliati. Io ero abbastanza attenta, curiosa ma non ero molto abile, me la cavavo. Avevo voti buoni e soddisfacenti, ma nonostante questo, subivo i rimproveri di mio padre che mi voleva più attenta, più disciplinata. Per la scuola era molto severo e pretendeva il massimo. Andava a parlare con l’insegnante, mi controllava i quaderni, mi spiava se studiavo. Solo mia madre mi veniva incontro. Se prendevo un brutto voto mio padre me la faceva pagare. Con la complicità di mia madre cancellavo dai quaderni le tracce del voto. Mentivamo spesso a mio padre su questioni concernenti la scuola. Lui era troppo fiscale e pignolo. Se sapeva che avevo invitato delle amiche a casa si rabbuiava, pensava che passavo il tempo in bagordi invece di studiare. Se andavo a studiare da un’amica voleva sapere tutto di lei, spesso non dava il suo consenso. Per andare in qualche posto ci voleva la domanda in carta bollata. Magari fossi andata ovunque! Ora ho la vita limitata.

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