Applausi

Nel lavoro tutti ci riteniamo capaci di assumere gesti di responsabilità. Ci sentiamo obbligati a lavorare sodo, con impegno, con profitto. È sempre necessario giungere a un compromesso senza mai rivelare il proprio disappunto in certe situazioni. Bisogna mediare, oscillare, comprendere, rispettare i colleghi, i dirigenti, venerare il capo supremo se esiste. Bisogna adattarsi all’ambiente senza mai disobbedire, salvo di fronte a una richiesta illecita. Non possiamo manifestare i nostri pensieri e giudizi oppure rispondere in modo sgradevole. Nei momenti critici dobbiamo avere i nervi saldi anche di fronte a colleghi falsi  e ipocriti. Il nostro atteggiamento deve essere impeccabile, il nostro linguaggio deve essere sublime. Dobbiamo proteggerci dagli attacchi, senza farci sorprendere in difetto. Non dobbiamo in alcune circostanze farci incastrare. Il nostro destino appare segnato in anticipo. Ogni volta è come camminare sul filo del rasoio. I lavori per certi versi sono tutti uguali.

Tuttavia in molti ambienti accade un fenomeno singolare. I lavori vengono affidati ai collaboratori, ai dipendenti, specie quelli piu ostici e complicati. Ingarbugliate matasse vengono sciolte da dipendenti ligi al dovere e intelligenti. In alcuni casi però gli applausi per il buon lavoro svolto vengono presi dal dirigente capo. È lui che riceve gli onori, che firma i documenti, che si pavoneggia per i corridoi senza nemmeno salutare i suoi dipendenti, che si arroga il diritto di criticare, apportare modifiche, di pubblicare, di divulgare il lavoro.

Allora ogni tanto ci sembra di essere tornati al tempo degli schiavi che costruivano le cattedrali. Un dipendente non ha voci in capitolo e il suo nome non figurerà in nessun documento ufficiale è la storia che si ripete.

 

Ester Eroli

 

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