Colleghe indiscrete

Colleghe indiscreteSpesso sul lavoro abbiamo conosciuto nuove colleghe, venute da poco e abbiamo sperato nella nascita di una amicizia, in un miracolo, in un incantesimo . non volevamo perdere una occasione. Nella nostra posizione di vecchia guardia, senza pregiudizi di sorta, senza strafare, abbiamo aiutato con sincerità le nuove colleghe magari solo a orientarsi. In alcuni casi, dopo attenta analisi, le abbiamo inviate anche per un caffè nella nostra stanza o nel nostro salotto di casa. Abbiamo condiviso la pausa pranzo. Ci siamo convinti che era necessario trovare un equilibrio, ricominciare ex novo con i nuovi arrivati, sebbene ancora sconosciuti. Le gelosie dovevano essere bandite, l’orgoglio allontanato, le rivalità non dovevano più costituire un intoppo al normale svolgersi del lavoro. Abbiamo messo in primo piano la comprensione, la collaborazione, la pazienza, l’ascolto. Abbiamo preso in mano la situazione e abbiamo cercato di essere morbidi, disponibili. Non abbiamo giudicato severamente le nuove venute, né abbiamo preso le parti di qualcuno. Abbiamo cercato di capire il carattere, il comportamento per poter andare d’accordo. Non abbiamo mai espresso giudizi apertamente, né affrontato liti inutili. Eppure queste nuove colleghe hanno cominciato comunque ad avere un atteggiamento diverso verso di noi, fino a farci rannuvolare. Hanno cominciato a venire nella nostra stanza con scuse diverse per ostentare, per esaltare la propria persona. Hanno sottolineato più volte la loro ricchezza, la loro provenienza da una famiglia potente. Decise hanno continuato a esaltare i propri figli, le capacità del proprio marito, la bellezza del proprio fidanzato. Con sguardo maligno ci hanno stordito con la descrizione della genialità dei loro nipoti, della grandezza della loro villa. Indiscrete ci hanno rivolto domande insidiose sul nostro privato. Non si sono poi solo limitate a questo. Hanno ostentato, davanti alla nostra faccia meravigliata, abiti e scarpe deridendo a voce alta il nostro look. Ci hanno accusato velatamente di vestire in modo provinciale. Hanno criticato apertamente, alcune volte in presenza di altri, il nostro modo di vestire, il nostro profumo giudicato scadente . Sono venute nella nostra stanza solo per mostrare i nuovi abiti comprati con la scusa di salutarci. Con il passare del tempo poi hanno affilato le loro armi. Hanno cominciato a fare similitudini, a lanciare strali offensivi, a fare battute al veleno, a ridere ad alta voce, a invadere la nostra sfera privata mentre noi ascoltavamo svogliate. All’inizio non abbiamo replicato, non abbiamo respinto la collega, siamo rimasti impassibili. Anzi quando ci denigravano ci siamo sentiti in colpa, ci sembrava di avere quei difetti elencati. Alla fine ci hanno accusato ingiustamente di sporcare il bagno, di essere invadenti, di essere troppo apprensivi, di non avere fegato e carattere. Abbiamo affrontato l’umiliazione senza fiatare. Il ritratto di noi emerso dalle loro descrizioni era pessimo. Ci hanno dipinti come lenti, impazienti, deboli, indolenti. Disturbati da tanta invadenza ci siamo seccati, soprattutto ci siamo sentiti diversi, appartenenti a un altro mondo. Avremo voluto anche noi assumere lo stesso atteggiamento, andare nelle loro stanze per lanciare sfide. Invece spinti da una forza mistica, magnetica abbiamo considerato il nostro lavoro come una missione e abbiamo smesso di parlare, in alcuni casi, persino di salutare. Il silenzio era la strada giusta. La consolazione l’abbiamo trovata fuori, nella lontananza dalla cattiveria che fa male solo a chi la possiede.

Ester Eroli

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