Concludere subito

Il mondo fuori ci appare allettante con le sue vetrine illuminate, le auto lucenti anche se alcune volte zone d’ombra minacciano la tranquillità, piccole crudeltà si fanno spazio fra le pieghe di una esistenza votata al superfluo, all’edonismo. Ormai nella realtà odierna non si ha più tempo per una telefonata, per una passeggiata e fatto grave, per un sorriso. Al telefono siamo sbrigativi non parliamo mai dei fatti privati. Scriviamo solo email stringate anche a parenti, amici, amori. Da tempo abbiamo smesso di mandare cartoline illustrate, lettere.  Ci avventiamo sulla vita come un mastino, come un’ape su un fiore da cui vuole suggere ogni nettare, anche quello con retrogusto amaro. Siamo isolati, chiusi dentro un mutismo che ci esaspera. Non parliamo più dai balconi con i vicini, evitiamo di prendere l’ascensore con gli estranei, non rivolgiamo la parola neppure ai negozianti. Siamo chiusi a casa, in ufficio con l’aria condizionata, al lavoro con gli occhi fissi solo sulle nostre occupazioni. Ogni pretesto è buono per sfuggire. Abbiamo spesso la netta sensazione  che gli altri sogghignino compiaciuti guardando i nostri errori. Non c’è tempo per un gelato con gli amici, per un saluto agli zii.

Negli ultimi tempi si assiste a un fenomeno strano. Tutti indistintamente sono impazienti, vogliono concludere subito senza mezzi termini, senza giri di parole. Dobbiamo essere stringati, lapidari. Dobbiamo andare al sodo e non menare il can per l’aia. Al mercato dobbiamo essere celeri ad accaparrarci la merce ordinata sul banco, alla posta dobbiamo essere equilibrati e veloci, dobbiamo scattare subito all’arrivo del nostro numero se no rischiamo di trovare un altro al nostro posto. Dobbiamo essere leggeri, scattanti, rapidi e in certi casi, se richiesto dalle circostanze, invisibili. L’invisibilità ci garantisce l’anonimato. Tutto deve essere finito subito, consumato. Al ristorante ci incalzano perché altri turisti intendono sedersi al nostro posto. Non c’è tempo al lavoro per riavviarsi il trucco, per chiedere spiegazioni. Dobbiamo ubbidire con sincronismo, senza pensare.

Seccati ci accorgiamo che anche per i sentimenti è la stessa cosa. Tutto si deve concludere subito. Non ci sono corteggiamenti lunghi, frasi gentili, mazzi di fiori. Se un uomo non ottiene subito tutto è disposto pure ad andarsene, a voltare la schiena ostentando una freddezza sconvolgente. Si vuole tutto e subito, nell’immediato. Non c’è attesa, spasimo, sospiro. Si vuole subito toccare, baciare una donna senza tanti convenevoli, anche se questa magari è restia, ha avuto un trauma e gradirebbe un approccio più lento, più soft per riacquistare la fiducia, per riprendere dimestichezza. Invece le donne traumatizzate, magari da uno stupro, vengono incalzate, assediate. Devono cedere subito. Ogni cosa di deve concludere in giornata, non si può attendere. Un tempo si attendeva per vedere le foto sviluppate, per sapere il sesso di un nascituro. Ora si sa tutto in anteprima, eppure non siamo contenti. Tutti del resto ci licenziano in modo sbrigativo. La vicina di casa non ha tempo per farci una visita, per prestarci un oggetto. A casa non ci arrivano più lettere, biglietti di auguri. Ci arrivano solo annunci pubblicitari che ci invitano a comprare velocemente senza riflettere. Per non sentirsi soli ci diamo allo shopping sfrenato, senza senso, eccitante ma ingannevole perché non ci da calore umano. Tutto è freddo calcolo, esperienza concreta che può diventare mortificante. Gli altri ci umiliano perché siamo lenti, riflessivi.

Le giornate volano consumate nell’ansia di concludere. Si deve concludere lavori, lavori di casa. Molti non esitano a concludere in poco tempo relazioni, amicizie. Ci sono poi quelli che si suicidano stanchi della vita, divorati dall’ansia di concludere, di finire anche la vita. Vita che non viene assaporata, gustata lentamente. Non ci ricordiamo neppure che faccia ha il nostro capo, il vicino di casa concentrati come siamo, spinti dalla voglia di concludere. Quando ci chiudono la porta in faccia crolliamo stanchi e delusi. Ci accusano di essere in ritardo, di non aver colto i segnali, di essere impacciati. E’ finito il tempo che si andava a scuola a piedi e ci si parlava lungo la strada. Ora la giornata scolastica si conclude nella auto dei genitori, nel chiuso di una automobile lucente. Del resto per molti l’importante è concludere.

 

Ester Eroli

 

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