Fra Diavolo, Gasbarrone e il museo del brigantaggio

Fra Diavolo, Gasbarrone e il museo del brigantaggioAd Itri, comune in provincia di Latina, sul corso Appio Claudio, troviamo un singolare museo, considerato il primo museo antropologico, nato nel 2003 per volontà della regione Lazio e della stessa comunità europea. Il museo del brigantaggio non poteva che nascere a Itri che ha dato i natali ad uno dei briganti più famosi della storia Michele Pezza, detto, per le sue malefatte, fra Diavolo. In realtà il brigante non è stato solo un ribelle fuorilegge ma un patriota, come mostra la sua alleanza con Napoli contro il dominio francese. Fu infatti un soldato borbonico. Tutta la zona era piena di briganti che assaltavano carrozze e diligenze data la vicinanza della via Appia.

Il museo è diviso in quattro sezioni tematiche di grande livello. Il museo trae spunto dalla tradizione popolare stessa dove i briganti erano visti come eroi romantici, liberatori, erano molte le ragazze che si innamoravano di questi personaggi e fuggivano con loro. Il museo mostra film, pitture, ecc che sono state dedicate a briganti famosi, considerati eroi del popolo. A fra Diavolo, guardato con benevolenza, è stata dedicata un’opera in tre atti rappresentata alla Scala di Milano nel 1991. Il museo si sofferma sulla figura di fra Diavolo, riportando documenti e testimonianze, mostrando arnesi utilizzati dalla sua banda, ma anche sulle figure di altri malviventi, mai giudicati negativamente, che sono passati alla storia e che hanno colpito l’immaginario collettivo.

Il museo in ordine cronologico ripercorre la storia del brigantaggio e in forma allargata si sofferma su altri personaggi come il famoso Gasbarrone, conosciuto anche oltralpe, che rimasto orfano prematuramente, abbandonò il lavoro dei campi per seguire i briganti e divenirne con il tempo il capo indiscusso. La leggenda narra che divenne brigante per amore, si diede alla macchia e si macchiò di orrendi crimini, morì in un ospizio con la fama di eroe romantico, in quando difendeva i poveri e gli oppressi. Fra Diavolo, appartenente a una famiglia numerosa, figura nel registro dei battezzati di Itri nel 1771. Deve il suo soprannome a una malattia che lo costrinse a indossare un vestito da frate, ma data la sua intemperanza e spavalderia, divenne ben presto fra Diavolo. Figlio di un mulattiere conobbe presto la miseria e con essa le risse, gli scontri. Dopo una serie di furti e malefatte si diede alla macchia. Apparve sin da subito crudele e generoso con la gente del popolo. Si dedicava a saccheggi, razzie, ruberie. Quando suo padre fu ucciso dai francesi andò soldato per combatterli e la sua fama si ingigantì. Divenuto colonnello compì numerose stragi e scorribande. Sul suo capo finì per pendere una taglia. Era ammirato per la sua astuzia e la sua audacia. I francesi lo invitarono a combattere per loro ma lui rifiutò. Fu catturato e impiccato dopo un processo lampo, come un delinquente comune nella piazza mercato di Napoli nel 1806. Il suo mito fa parte della memoria storica del paese in cui nacque. A lui sono stati dedicati racconti popolari, leggende, opere teatrali e cinematografiche. La gente ha apprezzato soprattutto le sue origini umili, la sua fedeltà al popolo.

Il museo si sofferma sulla figura di altri briganti che furono scoperti, trucidati, il loro corpo smembrato. L’usanza, che il museo evidenzia, era quella di fotografare il volto e le fattezze del brigante giustiziato. La repressione delle bande criminali armate era violenta, si arrivava alle fucilazioni di massa. Nell’orizzonte culturale del basso Lazio i banditi erano anche la voce, l’espressione popolare dell’esasperazione contadina.

Il museo affronta anche il tema delle cosiddette brigantesse, divenute anche esse famose. Le prime donne briganti erano solo delle drude che combattevano al fianco del capo, di cui di solito erano amanti, erano il braccio destro del capo e svolgevano dei servizi a favore dei delinquenti. Dopo nel tempo molte donne sono divenute esse stesse capi e assassine incallite e indipendenti. La loro era una lotta contro i soprusi e le disparità di trattamento, in favore della libertà della donna. Molte furono giustiziate crudelmente come mostrano gli atti dei processi riportati nelle cronache cittadine. Molte vennero punite in modo clamoroso, una volta catturate furono esposte al pubblico nude e sfregiate. L’esposizione alla pubblica piazza serviva come forma di repressione, per impedire il dilagarsi del fenomeno. Molte donne per sfuggire alla cattura si diedero alla macchia, usando armi da fuoco. Molte usavano ricorrere a ricatti e a sequestri di persona in cambio di un riscatto. Molte donne briganti sono state identificate e alle spalle hanno quasi sempre un episodio di sopraffazione che le ha segnate. Una di queste ad esempio uccise il marito che fu costretta a sposare dai genitori per questioni di interesse, un’altra uccise la sorella che era divenuta l’amante del proprio marito. Non sono mancati i casi di brigantesse che sono divenute capo indossando panni maschili, che sono state poi condannate al carcere e ai lavori forzati.

Nelle generazioni si sono tramandate le storie che sono divenute l’oggetto principale di ballate cantate dai cantastorie. Sul tema dei briganti ci sono i pro e i contro, c’è chi li considera dei patrioti chi dei miserabili criminali. Molti convegni hanno animato il dibattito e continueranno a farlo nel tempo perché il brigante affascina anche solo per il suo abbigliamento. Nel museo troviamo anche i panni del brigante che in questa zona era solito usare le ciocie. Storie di briganti continuano a essere narrate intorno al fuoco nelle sere d’inverno nelle case dei contadini e allevatori.

 

 

Ester Eroli

 

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