Non ci sono dubbi su quanto afferma Paul Crutzen, premio Nobel nel 1995 per le ricerche sugli effetti dei clorofluorocarburi (CFC): il periodo geologico che stiamo vivendo a partire dalla seconda metà del Settecento è quello dell’Antropogene, a dimostrazione del ruolo centrale che la ricerca scientifica riconosce oggi alla specie umana quale straordinario agente della modificazione dei sistemi naturali. Il quadro che si presenta oggi è veramente negativo. Si prenda come esempio la città di Istanbul che è una delle città più grandi nel mondo e le previsioni per il 2020 dimostrano che subirà una crescita ulteriore pari a 2.5 milioni di nuovi abitanti, fenomeno che interesserà in particolare le aree costiere. A mio parere il problema che in primis bisognerebbe risolvere è la distorta concezione ormai radicata di sviluppo. Oggi si tende a dare il prezzo di tutto e il valore di niente (Bertoldini Marisa, Campioli Andrea, 2009). Ogni cosa, anche le risorse naturali, è pensata in termini utilitaristici allo scopo di ricavare profitto. L’importante è crescere cioè aumentare la quantità dei guadagni, idea questa che sta alla base della crescita urbana. Città più grandi significa più manodopera, più industrie, più aziende e quindi più soldi per le classi dirigenti. Per questo non c’è spazio per la tutela di quell’ambiente senza il quale non potrebbe esistere alcuna attività economica (Bologna Gianfranco, 2008). Sviluppo deve essere, in realtà, un termine da utilizzare per indicare un miglioramento e nel caso delle città lo sviluppo deve presupporre un miglioramento non solo delle condizioni economiche dei cittadini ma anche della qualità di vita, cosa che è possibile realizzare solo se si ha un approccio sistemico (G. Bologna, 2008, p.117) con il proprio ambiente naturale.