I gioielli della natura: le gemme

Il rapporto tra l’uomo e le gemme si è costituito sin dai primordi. Già nelle caverne dell’homo del paleolitico sono stati rinvenuti rudimentali reperti relativi a pietre ornamentali, nel neolitico addirittura i prototipi di veri e propri gioielli. Le prime grandi civiltà poi, in Egitto, in Mesopotamia, in Cina, in Persia, ne fecero largo uso mistico e artistico. Nell’antica Grecia, nell’Etruria e nella Roma imperiale, l’arte della lavorazione delle gemme ha raggiunto tali livelli d’eccellenza che i loro spettacolari gioielli sono ancor oggi attuali e fonte d’ispirazione per gli stilisti di settore.

A onor del vero, però, occorre sottolineare che, in antichità, le pietre preziose non conoscevano il taglio minuzioso e rivelatore dei tempi moderni, ci si limitava a pulimentare le facce naturali del cristallo, arrotondandone gli spigoli e conferendo lucentezza in superficie: è solo nel Rinascimento che si cominciò a evidenziare la luce e il colore delle gemme, in funzione della loro limpidezza e rifrazione. 


Anche se la glittica, ossia l’arte d’incisione delle gemme, veniva praticata, come detto, già dalle antiche civiltà, bisognerà attendere il XVII secolo per arrivare a constatarne risultati eclatanti. Ciò avvenne, come spesso accade, per merito di due italiani, il primo il cardinale Mazarino, che nel 1650, da buon primo ministro della Francia, intuendo il valore venale e carismatico del diamante, volle che lo si trasformasse in brillante, ordinandone la sfaccettatura in 16 faccette (ancor oggi si dice taglio masarino), il secondo, il veneziano Vincenzo Peruzzi che, quindici anni dopo, perfezionò tecnica e strumentistica, riuscendo ad arrivare al rinomato taglio triplo del diamante (o taglio peruzzi), portandolo a 32 faccette. Il Peruzzi affinò anche tutta la tecnologia di settore, riuscendo a sfruttare le potenzialità di ogni pietra preziosa, esaltandone bellezza e qualità merceologiche.

Anche nel passato le gemme erano considerate come portatrici di virtù, di simbolismi magici e di terapie contro malattie e dolori, pertanto, alla funzione ornamentale si accompagnava anche quella talismanica e terapeutica.

La cristalloterapia è ormai una vera e propria scienza, riconosciuta e praticata da molti popoli. Coloro che guariscono le loro patologie utilizzando i cristalli, ritengono che ogni gemma abbia il potere di agire sulla salute e sul benessere di una specifica parte del corpo; la loro luce riflessa collocata sui punti vitali del corpo, viene assorbita come fonte di energia curativa, al di là di ogni possibile effetto placebo.

Prima di utilizzare la gemma, però, bisogna purificarla, immergendola in acqua pura e corrente per almeno due ore, per poi essere esposta per ulteriori due ore alla luce dei raggi del sole o anche della luna, a seconda delle proprietà energetiche che intrinsecamente possiede. Infatti, le pietre rosse, arancioni, blu, bianche e trasparenti, vanno esposte al sole, mentre le verdi, gialle, viola, rosa e azzurre alla luna.

L’ametista, ad esempio, stimola l’attività celebrale, il diamante libera l’anima, la giada conferisce energia, il turchese è rilassante, lo zircone combatte i disturbi uro-genitali, la malachite è cardiotonica, il diaspro regola l’intestino, la corniola tutela reni e vescica, il granato sollecita l’erotismo… insomma ce n’è per tutti i gusti e perché no, patologie. L’importante, come in tutte le cose, è crederci, perché è sempre il cervello che decide, e come è noto, tutto parte da lì.

In ogni caso, quando ci si trova di fronte a una gemma, a prescindere dai nostri gusti in fatto di forma o colore, la ben disposizione è certa, e non soltanto per il valore commerciale, talismanico o terapeutico che l’uomo nella sua storia le ha attribuito, bensì per la bellezza che la natura le ha conferito, capace di strapparci un sorriso di meraviglia e gratitudine anche nei momenti più bui.

 

Adriano Zara

 

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