Il bacio di mezzogiorno, trenta9 poesie d’amore, U vèse di menziurne, De Kus van het middaguur, di Albino Pierro. 2008

Il bacio di mezzogiorno, trenta9 poesie d’amore, U vèse di menziurne, De Kus van het middaguur, di Albino Pierro. 2008Il fatto d’esser stati davanti al portone di quella che fu la casa del poeta Albino Pierro, in uno fruscio della Rabatana di Tursi, in un boccone marginale di Basilicata, dopo aver varcato la salita e prima aver assaggiato le insegne anni ’50 ’60 ’70 della Tursi che s’annuncia al pari d’una città di mare, non può che venir nuovamente in testa adesso che abbiamo sotto le mani questo libro edito grazie alle attenzioni, soprattutto, di Silvia Terribili. Curatrice del volume, nonché ideatrice dello stesso, la Terribili ha ella stessa selezionato i testi d’amore del poeta dialettale per eccellenza del Novecento letterario italiano e internazionale. Le note, poi, di Verde e D’Angelo, ma soprattutto lo scritto del primo ci permettono di conoscere (ricordare) – con forza – parte della vita dell’autore dei testi e, in special misura, la sua valenza assoluta in termini di lingua sovrannazionale; certo è che, insomma, queste trentanove poesie ‘d’amore’ del poeta tursitano, che fra le varie cose più volte fu vicino all’assegnazione da ricevere del Nobel per la Letteratura, sentiamo quello che riesce a passare, mi sento di precisare, oltre lo stesso dialetto. Perché, a nostro avviso, se pur il dialetto sia sempre e comunque la lingua della poesia che odiamo, non è possibile trascurare che, in fin della conta, il verso di Pierro s’eleva al di là della sua impostazione grammaticale. Quindi, certamente, il lettore o lettrice olandese di questi componimenti devono apprezzare queste sinfonia d’anima che la pagina si permette di testimoniare. Facendo un piccino passo indietro, le versioni in tursitano, ovvero originali, delle rime trovano corrispondenza nell’ossequiosa traduzione in lingua di Petrocelli, fino ad arrivare all’approdo nella traduzione olandese portata a compimento dalla fine poetessa van Daalen. “Chi lo sa”: “Chi lo sa che c’è la sotto. / Sono troppo piccoli questi miei buchi / che su di te ci fanno gli occhi miei. / Una volta ridi / e un’altra volta piangi; / poi un’altra volta gridi / e saltando mi baci”. Ma sentite questa, pure, chiusa: “(…) e tutto il mondo è un orologio / che ha un solo rintocco: don Albino”. O ancora, “Dovrei essere pronto / e non lo sono, / eppure non piango: // se alla gola mi sento stretto, / guardo fisso una pietra / e ci entro dentro”. Fino a: “Non lo dire a nessuno, / nemmeno all’aria, / che mi vuoi tanto bene: / tu ancora non lo sai / l’invidia che c’è nel mondo. (…)”. “Il bacio del mezzogiorno” serve per spiegare, nuovamente, quanto il poeta Albino Pierro amasse il suo paese. Anche quando ha vissuto fuori da questo. E, soprattutto, in che maniera esiste perfetta simmetrica, se non proprio sovrapposizione anzi commistione fra l’amore per la donna e l’amore per il luogo natio. Quest’amore a scatti repentini, infatti, dimostra che la padronanza del mistero della musica poetica, letta con l’ardimento della ricerca dell’evasione più assoluta e trasformata nel rifiuto gemente e costante del futuribile in senso troppo stretto, è la stessa natura antica vissuta sicuramente in un certo Classicismo immateriale che mai abbiamo realmente eletto a nostro padre spirituale. In vita, sta di fatto, Pierro ha da un certo punto in avanti ottenuto riconoscimenti che altri grandi non hanno sempre incontrato. Ciò non vuol dire, però, che la gente comune abbia sempre compreso questo tipo di poesia ‘elitaria’, questa sempre “accondiscendente” invocazione a un intimo che è prova del voler travalicare la dimensione dell’intimità. I piccolissimi esempi riportati direttamente da Pierro in questo spazio, purché volutamente riconsegnati alla lingua italiana, sono il grimaldello esso stesso pronto a soverchiare il baule. In quel fil di Rabatana, nell’altezza sull’altura che spinge l’ascensione tursitana al bordo dell’ascesa ha vissuto e vive il poeta.

 

Nunzio Festa

 

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