Il boss

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I dati inquietanti sulla disoccupazione spesso agitano i nostri sogni. Ci rendiamo conto poi con raccapriccio che a lavorare, a trovare un posto non sono quelli più qualificati, più istruiti,  più preparati, più onesti, più responsabili, più capaci ma quelli più indifferenti e più raccomandati. A casa, chiusi davanti al portatile della propria stanza, restano le persone colte, raffinate, educate, corrette, precise. Si impongono quelli che si sono fatti avanti con le gomitate.

Di solito il raccomandato di turno arriva al lavoro con aria spavalda sapendo di avere le spalle coperte. Si atteggia, mostra un volto curato e superbo. Non socializza molto con gli altri a cui riserva uno sguardo prevenuto e altezzoso. Agli altri non chiede nulla, dagli altri non si aspetta nulla anche perché ha già avuto tanto da chi di dovere, dal capo di turno, dal boss come lo chiama lui affettuosamente e familiarmente. Il prezzo di quel lavoro è la totale abnegazione alla linea politica del boss anche se non condivisa pienamente. Il misterioso benefattore non viene mai nominato, sta dietro le quinte come la coscienza nel corpo. Il ragazzo raccomandato è convinto, si illude di poter fare tutto, anche arrecare danno ai colleghi paradossalmente. I colleghi vengono tenuti a bada per non dover dire loro il nome del benefattore in un eccesso di confidenza.

Di solito non nomina mai il suo capo politico e se qualcuno fa qualche domanda il raccomandato resta muto e impietrito. Infatti rifiuta sempre inviti e incontri.  Il capo non parla mai di lui, finge di non conoscerlo. Audacemente il raccomandato arriva a dire di aver fatto tutto da solo, con i sudori della propria fronte. Di solito vanta di avere a suo carico lauree, master, e altro. Poi si scopre per vie non ufficiali che è a malapena diplomato. La laurea non esiste, è solo un miraggio, un modo di dire per farsi bello.

Poi il ragazzo in questione arriva al lavoro con libri, prende permessi, giorni fingendo di dover prendere uno secondo attestato, una seconda laurea. Porta valigette di pelle come un businessman. Indossa abiti fatti su misura, eleganti, sobri. Assume un aria di sufficienza, perché preferisce essere temuto che amato. I colleghi prendono le distanze.  Non ascolta gli altri e preferisce il silenzio. Se proprio deve esprimersi preferisce vantarsi nel modo più classico possibile. Le sue parole sono morbide e gentili, ma racchiudono una punta di ironia  e indifferenza. Nella sua prigione dorata a dare un senso ai suoi giorni sono le sedute in palestra, i  viaggi esotici, le gite, i balli in discoteca. Sotto la protezione del grande capo può permettersi il lusso di assentarsi il lunedì e il venerdì accampando scuse, fingendosi malato. Per lui la settimana è fatto di meno giorni, rispetto a quella dei comuni mortali. Non è disposto ovviamente a fare favori a chi chiede aiuto in ambito lavorativo.

Il raccomandato di turno lascia una scia di profumo intenso ma non lascia mai traccia del suo sapere, forse perché il suo bagaglio culturale è scarso o inesistente.

Se viene ripreso, rimproverato con gli amici si mostra spavaldo  e dichiara di poter uscire vivo dalla situazione grazie all’intervento del boss. Con gli amici parla sovente del suo boss al telefono, in strada. Non è da tutti certo avere un boss tutto per sé.

I raccomandati, specie giovani, non lasciano mai di sé un particolare ricordo tanto sono scialbi e insignificanti. Non serve rimpiangerli il giorno che vengono spostati per un giusto avanzamento di carriera.

 

Ester Eroli

 

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