Il candomblè del Brasile

Il candomblè del BrasileNessuno può dire con esattezza da dove arrivi la gioia , l’energia e la sfrontata voglia di vivere che in Brasile contagia irrimediabilmente coloro che ne vengono a contatto. Fatto sta che nello straordinario paese del samba e della capoeira il sangue scorre caldo e l’allegria non si sporca neppure negli angoli più poveri e dimenticati da Dio e dall’uomo. Qui nel paese dei contrasti, dove la violenza può essere gratuita e inesorabile come l’amore, qui, c’è una vecchia legge che lega l’uomo alla natura e al suo passato. È la negritudine, che si affaccia dalla storia di sofferenza di un popolo in cammino e che vive nel miraggio di un Paese in progresso. E le radici di questa identità ormai indipendente e unica, che appartiene anche ai bianchi e ai mulatti, è intrisa di religiosità. Il soprannaturale, è ovunque, non è nella Chiesa soltanto. Non è nei preti e nelle funzioni. Nella natura e nella quotidianità Dio c’è e accompagna le azioni degli uomini, che senza scomodarlo possono contare sulla presenza sempre raggiungibile e compassionevole dei santi. Certo, niente si da per niente e se voglio aiuto devo dare qualcosa in cambio. In Brasile, dove la modernità si impossessa delle nuove generazioni, non si perde il contatto con la totalità del reale, fatto di materia e spirito, due aspetti che non sono separati, ma viaggiano su un unico binario. Il Dio cattolico qui ha un piedino nel mondo, grazie alla fascinosa suggestione del sincretismo religioso, nato con l’assimilazione dei santi, imposti dal cristianesimo, alle figure della tradizione india e nera delle popolazioni autoctone e degli schiavi importati dall’Africa, che qui si sono mescolati anima e corpo. Una risposta di sopravvivenza spirituale che genera un uomo nuovo, con un nuovo rapporto con il creato. Darwin direbbe che è la selezione della specie. Questo passo avanti ha dato ai brasiliani il candomblè, ora dimenticato e nascosto, o vezzeggiato e venduto ai turisti. “In ogni casa c’è un quadro di San Giorgio”, dice la grande cantautrice bahiana Maria Bethania, sorella del celebre Caetano Veloso. Il santo protettore illustrato mentre uccide il drago, trova il suo analogo in Oxossi, il re cacciatore, che secondo un mito yoruba uccise con una freccia l’uccello della strega foriero di sventura. “Basta una preghiera che viene in tuo aiuto”, canta Maria.
E la Sirena, che aiuta i pescatori quando escono in barca e,qualche volta, innamorata di uno dei suoi figli non lo lascia tornare, ma lo porta con sé negli abissi del mare. La splendida e prospera Iemanja regina del mare, è sincretizzata con la Vergine Maria, la madre di Gesù. Materna e femminile è il simbolo per eccellenza della cura, della dedizione, della essenza più profonda e vera della donna, che è madre, amante e creatrice. Nessuno a Bahia, dove queste tradizioni sono più radicate, si dimentica la sua festa. Il due febbraio, la festa del mare, migliaia di persone si affollano sulle spiagge per gettare un fiore o consegnare i regali alle onde, per propiziarsi la Sereia e rendere gli omaggi dovuti a una splendida regina. Le barche partono cariche di cesti che vengono abbandonati tra i flutti, e se il mare li porta a largo, se se li prende, il dono sarà ben accetto, così come la preghiera. Se verranno respinti a riva, invece, il segno non è buono. Per lei pettinini, fiori, saponette , specchietti, doni che una donna gradisce. Anche il 31 dicembre, la notte di capodanno, le spiagge si riempiono di gente che accende candele e intona canti per festeggiare l’arrivo del nuovo anno vicino alla forza che per eccellenza abbraccia il Brasile, quella dell’Oceano.
Si chiamano orixàis queste figure spirituali che convivono nel mondo con gli uomini e vengono identificate con i santi della religione cristiana. Ogni orixa ha un carattere ben preciso, con i suoi gusti, i suoi vizi e le sue virtù. Un pantheon che ci riporta a ll’ Olimpo greco ma che, al contrario, è presente nella vita vissuta più che nei libri. Per ognuno di loro c’è un giorno di festa, c’è un colore e un piatto preferito, e i loro “figli” sono riconoscibili per la somiglianza fisica e caratteriale. Chi va in chiesa abbraccia senza alcun contrasto la religione del candomblè, che trova però il suo perfetto compimento nei terreiros, le case dove la religione degli orixais viene coltivata. Qui si trovano le figure sacerdotali che si occupano di nutrire gli orixas, di rispondere alle richieste di aiuto dei fedeli e leggono loro il futuro nelle conchiglie. Qui, infine, si organizzano le feste in cui le entità scendono nel mondo dei vivi per “cavalcare” gli iniziati in danze di possessione che ripetono gli stereotipi delle divinità. E’ proprio nella festa che la presenza sulla terra dei santi, tra i fedeli, viene rafforzata e il mondo dello spirito e della materia si uniscono abbattendo i confini tra il visibile e l’invisibile. Danzando in mezzo ai fedeli gli orixais dispensano benedizioni e forza e ricevono in cambio la possibilità di calcare il mondo terreno e di sfogarsi nelle danze.
Sarà per questo che la musica e la danza, in questo Paese meraviglioso, portano una carica di energia catartica e sono sempre una buona risposta contro i mali del mondo.

 

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