Il Novecento letterario italiano oltre il Duemila letterario italiano

Il Novecento letterario torna in mente al Duemila superato. Tra il finire, ma non solo, del 2010 e il cominciamento del già scattante 2011, sappiamo per certo che una parte dell’editoria italiota, quella ovviamente che comunque non sempre s’era interessata, però, alle varie polemiche intellettuali di decenni fa come degli ultimi anni, punta di nuovo su una parte dimenticata di grandi scrittori del Novecento italico. E, per capire meglio il filo del discorso, partiamo naturalmente da esempi concreti quanto intransigenti come forza motrice di descrizione; e dal lavoro e/o lavorio delle major. Dunque si cominci a guardare Einaudi. Allora, sentiamo. La casa editrice fra le più prestigiose in circolazione, ha annunciato per metà gennaio l’uscita d’un’altra opera della scrittrice nata in Trinacria Goliarda Sapienza. Se nel 2010, Einaudi aveva cominciato ripubblicando l’impareggiabile “L’arte della gioia” e continuato con “Io, Jean Gabin”, questa volta si punta alla proposizione dei racconti tanto odiati dagli editori mentre era in vita la scrittrice stessa e adesso contenuti sotto il titolo “Destino coatto”. Dove l’editore oggi punta persino su pizzichi di “umorismo nero siciliano”. Marsilio, sempre più imponente, nella collana Biblioteca Novecento decide d’inserire “Requiem per un cane” del Carlo Coccioli ripubblicato, finalmente, anche col “Documento 127” dalla microscopica Erasmo di Livorno e il Fulvio Tomizza di “La città di Miriam”. Sellerio, che piange la scomparsa recente anche della signora Elvira, punta al testo del poeta e scrittore siculo Giuseppe Bonaviri, “L’enorme tempo”. Mentre l’altra siciliana, Donzelli, rilancia l’imperdibile “Signora Ava” del molisano Francesco Jovine. L’elenco sarebbe molto lungo, ma pieno persino di dimenticanze altre, o operazioni che in sordina, dati i mezzi piccoli a disposizione, possono comunque ridare alle stampe editori medi piccoli microscopici. Però, con finire con gli esempi, si pensi all’intraprendente Hacca di Macerata, sostenuta dalla solidità di ricerca dello scrittore e poeta Andrea Di Consoli. Nella collana Novecento, Hacca ha racchiuso diversi libri novecenteschi: “Gli avventurosi siciliani” di Nello Sàito, “Pagine milanesi” di Leonardo Sinisgalli a cura di Giuseppe Lupo. Solamente per ricordare i due libri più recenti. Quando dunque l’editoria si propone l’obiettivo di tornare indietro con la linea del tempo, magari fino a quel Novecento che per l’Italia delle Lettere fu significativo assai, d’altronde, risultati in termini di vendita e in cifra d’attenzione appiano subito oltre il marchio sottile dell’orizzonte. Fra le bellezze, insomma, comunque, di quest’ultima parte di 2010, ma ovviamente con raggi che dovrebbero almeno raggiungere il 2011, non si può non tornare su “Signora Ava” di Jovine. Più volte e capitato, va detto, è c’auguriamo ci capiterà di leggere e scrivere su questo romanzo, in quanto questo romanzo raggiunge vette di qualità che solamente altri grandi scrittori hanno incontrato. E l’autore molisano di questo romanzo, tra l’altro, può benissimo essere considerata una delle figure chiave della letteratura italiana, se si pensa a quello spazio o settore di penne che alimentavano e hanno alimentato la loro scrittura e il fervore delle loro opere dalla dimostrazione che l’impegno civile e politico può essere servito su più piatti. Nato nella molisana Guardialfiera nel 1902, luogo dove tra l’altro si sviluppa la parte molto probabilmente la parte più significativa della trama di “Signora Ava”, Jovine fu, oltre che romanziere, insegnante, giornalista e saggista. E si sposò con la pedagogista Bertoni, che molto gli diede proprio sulle modalità di guardare all’altro in genere. Sotto il fascismo, nel ’37, si trasferì a Tunisi e a Il Cairo. Nel 1943, però, rientrò in Italia per partecipare alla Resistenza tra le file dei comunisti. E dopo l’iscrizione al Pci iniziò a collaborare con cartacei come L’Unità, Vie Nuove, Rinascita. In realt a portarlo al successo di critica fu “Le terre del sacramento”. Ma in “Signora Ava” spunta già quel don Matteo irresistibile e propedeutico non solo ad altre opere bensì per inquadrare ancor di più e in maniera più determinata nella mente dei soggetti attivi delle vicende storiche e insignificanti allo stesso tempo una lettera meditata d’ogni possibilità che l’uomo può scegliere d’utilizzare. Stesso discorso valga, ancora, per il Pietro Veleno e, soprattutto, per le condizioni che lo consegnano al brigantaggio. Siamo, infatti, fra il 1860 e il 1861. Sappiamo, insomma Meridione e Italia Centrale che cosa hanno passato a differenza del Settentrione in quel periodo. Però non si sapeva in verità che avessero passato certe tipologie di persona, oltre che ovviamente il popolo sempre e da sempre oppresso. Quando si guarda, allora, ai grandi libri del Novecento ripubblicati oltre la barriera del 2000 e cosi via si deve tenere in mente la forza indistruttibile di certe opere. Di tanti libri che si dovrebbero riprendere fra le mani.

 

Nunzio Festa

 

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