Il riscatto dei mestieri

Il riscatto dei mestieriIn passato in ogni quartiere c’era l’arrotino, il calzolaio, l’ombrellaio ecc. Nessuno dimentica le scarpe vecchie portate e aggiustate dal calzolaio, i dolci comprati dagli ambulanti. Poi la gente ha cominciato a disinteressarsi dei mestieri considerati mediocri. Gli artigiani erano guardati con un risolino beffardo da far venire rabbia . Un figlio ingegnere era preferibile a un figlio falegname anche se lavorava in proprio. I lavori manuali non davano nessuna possibilità di carriera, di trionfo. Chi svolgeva un lavoro manuale doveva accontentarsi di una vita semplice, senza lussi. Gli avvocati, i dottori potevano diventare ricchi, condurre una vita favolosa. A un certo punto un artigiano era costretto a lavorare nell’indifferenza collettiva, nessuno apprezzava il suo naturale talento, la sua passione . Molte botteghe artigiane hanno smesso di assumere commessi, alcune hanno chiuso non potendo sopravvivere. Poi nel tempo è scoppiato lo scandalo vero e proprio. Tutti si sono smariti imprudenti nei labirinti del sapere. In pratica a un certo punto tutti si sono segnati all’università. Alcune sedi universitarie hanno segnato il boom di iscrizioni e di presenze. Sono andati all’università persino i figli di imprenditori agricoli, di industriali. Molti invece di lavorare nell’azienda di famiglia, senza pretendere troppo, si sono laureati magari in materie oziose che nulla avevano a che vedere con l’attività familiare. Operai hanno avuto figli dottori e professori. Era ammirevole come le classi medio-basse si impegnassero a far studiare i figli, non solo per avere il pezzo di carta necessario per entrare nel mondo del lavoro. I genitori hanno sperato vivamente in un futuro meno atroce per i figli. Molti dalla campagna si sono trasferiti nelle città sedi di università spendendo i soldi di famiglia nell’affitto di case. All’inizio c’era un equilibrio perfetto tra quelli che studiavano e quelli che imparavano un mestiere. Poi tutti hanno preteso di studiare pur non essendo portati. Molti sono rimasti parcheggiati negli atenei per anni, ripetendo per ben cinque volte lo stesso esame. Così ogni paese ha avuto moltissime insegnanti di lettere, molti architetti. Imparare un mestiere significava buttarsi via. Nessuno spendeva una parola nella difesa del lavoro manuale e dell’apprendistato. Intanto un esercito di medici e avvocati invadeva il mercato. I veri talenti venivano scavalcati dalle nuove masse, disposte a tutto per imporsi. Poi ci si è resi conto della illusione, della trappola. Con la crisi economica i laureati hanno solo incassato e collezionato insuccessi. Nel cuore solo restava l’antica passione per il lavoro intellettuale. Sono così diminuite le iscrizioni all’università. Lentamente alcuni giovani si sono convertiti hanno aperto ristoranti, hanno creato fattorie e aziende agricole. I conti stanno per tornare. Nessuno arrossisce più nel dichiarare di essere un meccanico o un tornitore. Anzi molti si considerano dei privilegiati. La mente si è liberata di pregiudizi e preconcetti. Molti hanno finalmente seguito la propria vocazione senza assecondare le idee dei genitori. Molti hanno deciso di allevare capre, di fare una cooperativa o una ditta di edilizia. Il lavoro manuale dà le sue soddisfazioni concrete, nonostante la routine e le solite incombenze. Molti giovani hanno dato l’anima per il proprio mestiere, fidandosi solo del proprio istinto hanno dato vita a nuove e redditizie attività senza chiedere aiuto a nessuno. Ci si è resi conto che certi modernismi non funzionano e i mestieri antichi erano molto importanti. Forse si dovrebbe fare di più, creare scuole di apprendistato, favorire l’accesso a certe industrie, consentire ai giovani di frequentare le botteghe artigiani parallelamente con la scuola, consentire l’apertura di laboratori attrezzati senza tanta burocrazia. Passi avanti sono stati fatti. Non tutti i mali vengono per nuocere. La crisi economica ha risvegliato sopite e nascoste vocazioni.

 

Ester Eroli

 

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