Interstellar, il ritorno della fantascienza adulta

Interstellar, il ritorno della fantascienza adultaQuante volte in questi anni è stato celebrato il funerale della fantascienza? Tante, forse troppe, anche se ogni volta risorgeva dalle sue ceneri, magari facendo storcere il naso ai puristi, perché si rivolgeva troppo ad un pubblico troppo giovane e poco esigente.

Interstellar, una delle sorprese di una stagione non brillantissima, diretto da Christopher Nolan, rilancia la fantascienza che fa pensare, rivolta ad un pubblico adulto non per scene e situazioni scabrose ma per tematiche profonde, tirando fuori di nuovo il viaggio nello spazio, abbandonato negli ultimi anni a scapito di altre storie perché visto come troppo utopistico e fuori dal mondo, e mescolandolo alla sempre verde visione distopica di un futuro prossimo.

Interstellar racconta due storie in parallelo: quella di Cooper, agricoltore suo malgrado in un mondo in cui una misteriosa piaga sta decimando le coltivazioni rendendo impossibili progetti e progresso e che decide di riprendere la sua carriera da astronauta per esplorare nuovi mondi oltre un wormhole comparso nello spazio, e quella di Murph, sua figlia, bambina ribelle, poi scienziata, che invecchierà mentre il padre sarà nello spazio, salvando alla fine lei il genere umano con le sue scoperte e con un legame oltre il tempo e le dimensioni con questo genitore nelle profondità del cosmo.

In quasi tre ore di proiezione il film mette tanta carne al fuoco, strizzando l’occhio a Kubrick (e questo non è piaciuto a certi cinefili, anche perché Nolan spiega quello che in 2001 odissea nello spazio restava misterioso), pervadendo il tutto da un profondo senso di spiritualità ma nello stesso tempo condannando la mentalità antiscientifica del nostro tempo, qui portata agli eccessi, ma messa in difficoltà oggi dalla crisi e da vecchi e nuovi integralismi religiosi, politici, economici.

Due padri e due figlie, Cooper e Murph da una parte e Amelia e il professor Brand dall’altra, reggono una storia in cui si parla di doveri verso le generazioni più giovani e i propri simili, di non perdere la speranza, di tempi perduti che non torneranno più (quelli che sono una manciata di anni per Cooper nello spazio per Murph sono quasi un secolo), di scienza e tecnica, ma anche di umanità, di ricerca della stessa, dell’importanza di amore e solidarietà. Messaggi non da poco, in una storia in cui gli effetti speciali inevitabilmente ci sono, ma non soverchiano il tutto facendo un effetto videogame, ma sottolineano invece una vicenda che avvince, appassiona e in qualche punto commuove persino, con un grosso aiuto anche dalla vecchia tecnica del cinema, tra modellini e ricostruzioni, quella della fantascienza dell’epoca d’oro.

Importante la storia, con tutti i suoi interrogativi e spunti, la sceneggiatura, le atmosfere, ma anche gli intepreti, in cui spiccano l’interessante e lontano dagli stereotipi da divo Matthew McConaughey, il veterano Michael Caine e le due donne Anne Hathaway e Jessica Chastain, personaggi dell’altra metà del cielo interessanti e fuori dagli schemi.

Un film quindi che si rivolge ad un pubblico adulto (non di età necessariamente, ma di testa) e anche non di appassionati della fantascienza, dimostrando che il genere non è sinonimo di fracassonate per ragazzini o di elucubrazioni per pochi eletti, ma anche di belle storie, con tematiche interessanti, e dove alla fine cose come un lieto fine non posticcio ci stanno anche bene. Per ricominciare forse ad uscire e a guardare verso le stelle, e questo comunque non è poco, non in questo momento.

 

Elena Romanello

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