Kasabian: ora tocca a noi

Sono nati nel 1999 e sono appena al quarto album. Hanno fatto un discreto successo in patria con uno stile molto “di moda” quando uscirono, quel rock pieno di riferimenti agli anni ’60 e al pop complesso degli anni ’80. Come scambiare i Beatles con gli Smiths. Come reinventare il brit-pop dopo la sua morte. Se i Kaiser Chiefs hanno aperto le danze, i Kasabian le stanno cementando e rinnovando. Con un disco, Velociraptor, che in pochi mesi (è uscito il 9 settembre) è riuscito a conquistare le prime posizioni di tutti i paesi europei e sta marciando anche in America.

Tom, Sergio, Chris, Jay e Ian hanno beccato l’abum della vita. Quello che, bastano due singoli perfetti, e fai successo. Anche se quest’opera è tutto che il classico cliché da due singoli e via. Non è un prodotto dei Queen, nemmeno uno di Vasco. Qui c’è molta sostanza e solidità, c’è un percorso non buonista, che registra un crescendo di suoni e di idee.

Far parte di una schiera nutrita di ottime band non li aiuta di certo ad uscire fuori. Fautori di buoni singoli, sono sempre stati visti come i secondi in tutto. Avere davanti i maestri Kaiser Chiefs, le promesse dimenticate Arctic Monkeys, i ballerini Franz Ferdinand, la sorpresa Klaxons, i robusti White Lies e tutte le icone del brit-pop non è facile. Ma da gregari spesso si può diventare uomini di punti e così un giorno stai giocando e cantando con i tuoi amici che da un piccolo urletto in compagnia scovi la chiave che apre tutte le serrature del mondo. Nasce “Days are forgotten”, singolo acchiappa ascolti, il pezzo che ti entra dentro al primo ascolto e non ti molla più. E poco dopo ti ritrovi a ricantarlo dovunque, senza che nessuno ti additi come pazzo. Tutti la cantano come te.

Days Are Forgotten è un pezzo bello, fresco, ballabile, rock. E quel forgotten che per gli italiani diventa figata, ce la avvicina ancora di più. E quel chitarrista così italiano, di origini liguri, con quel nome e quel cognome (Sergio Pizzorno), ci rende tutto più facile. E così il brutto anattroccolo a cui piace omaggiare le proprie band preferite in ogni album diventa un cigno di certa bellezza. E l’Italia li consacra a nuovi eroi del rock inglese insieme al resto dell’Europa. Arriva l’heavy rotation in tutte le radio commerciali e la partecipazione a X Factor dove il programma raggiunge il picco della serata proprio col loro arrivo. Arriva il sold out all’unica tappa in Italia del 2011 e una richiesta sempre più pressante che convince il management a organizzare due nuove date per il 2012 (a Padova e a Roma, biglietti già esauriti). Arriva, fiero, il riconoscimento dei maggiori magazine inglesi e delle radio, e di una BBC che organizza uno splendido concerto al chiuso di un club che risulta tra i più cliccati su youtube.

Velociraptor è un bel disco da ascoltare. Specie in auto sulle lunghe distanze, specie nei locali con tanta birra e tanto divertimento. E’ un album che vende, che fortifica l’orecchio con la title track e il secondo singolo Re-Wired. Che ti lascia il tempo per rifiatare con la semi-ballata Goodbye Kiss e il pezzo alternative tra elettronica e rock, Switchblade Smiles. E poi suoni turchi, archi, tastiere e tante influenze. Non manca nulla per dare al rock qualcosa che non si attenga al solito suono e soprattutto che non si attenga a quanto già presentato dai colleghi di genere e di patria.

Perciò, dopo anni di dischi al limite del successo, colonne sonore, concerti con grandi gruppi passati e presenti, ora tocca a loro sbarcare il lunario centrando il colpaccio. Arrivando primi mentre maestri ed ex stelle arrancano tra nuovi esperimenti e la ripetitività dei soliti giri di chitarra.

 

Simone Spada

 

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