L’arte di denuncia in formato “The Cal”

L’arte come elemento che riscatta il calendario. La fotografia come fonte che nobilita il nudo. Tradotto, si parla di “The Cal”, il calendario per eccellenza. Antesignano delle riproduzioni nazionali, edite da giornali smaniosi di incrementare il numero di copie vendute. Oggi un calendario non si nega a nessuno. Da celebrities a casalinghe, da hostess a militanti politiche. Tutte insulse imitazioni dell’originale.

Perché The Cal è qualcosa di diverso da un semplice calendario patinato. Qualcosa di più della semplice “icona della comunicazione Pirelli”, come definito dall’azienda produttrice (dal sito Pirelli). Persino qualcosa che trascende la semplice esposizione di un corpo femminile, bistrattato nel suo uso puramente commerciale. Non lo si ricollega alla comune bellezza da calendario. Nulla ha da spartire con naufraghe bocconiane che, svestiti i ridotti panni di naufraga nell’Isola dei Famosi, giustificano così il preferire la carriera da bellezza da calendario a quella in azienda: “Dopo quattro anni di studi alla Bocconi, ho imparato a essere la brava manager di una grande azienda di prodotti industriali o di servizi. In questo caso sono io il prodotto, un prodotto da vendere nel mercato dello show business” ( Corriere della Sera, 5 ottobre 2006).

Ed ecco il punto. La bellezza del Pirelli non è un prodotto da vendere sul mercato. Karl Lagerfeld, direttore artistico di Fendi e Chanel, nonché autore del celebre calendario nell’anno 2011, ha descritto bene il fenomeno: “Il calendario Pirelli è un mito, è un omaggio alla donna, a volte anticipa i costumi della società, spesso ne è lo specchio, con i suoi codici estetici e gli archetipi, e segna l’avvenire” (Panorama, 15 ottobre 2010).

The Cal è stampato in edizione limitata. Diventa parte integrante del brand aziendale solo nel 1994, a trent’anni esatti dall’ingresso dello stesso nello star system internazionale. Dal 1964, infatti, le sue foto vengono esposte in sulle pareti di case private anziché su quelle dei meccanici. Col tempo questo calendario diventa oggetto di collezionismo e di culto per amanti e collezionisti d’arte. I fotografi che si susseguono esaltano o denunciano la situazione socio-culturale internazionale attraverso la bellezza. E così si esalta la sensualità negli anno Sessanta tanto da rimarcare la libertà dall’austerity dei Cinquanta. Sospesa la pubblicazione dal 1974 al 1983, stando alle motivazioni ufficiali, a causa dei contraccolpi che le crisi petrolifere e dei conseguenti tagli di bilancio aziendale (dal sito Pirelli), si riprende con le top degli anni Ottanta ed il genio innovativo di chi, dietro la macchina fotografica, placa la sete di novità dopo il ritrovato benessere della società mondiale. Il postmodernismo degli anni Novanta è interpretato da artisti, ormai desiderosi di creare più che di immortalare, il che si radica nelle edizioni del nuovo millennio.

Edizione memorabile per la storia del costume, ma anche politica e sociale, è quella del 1987, quando Terence Donovan a Bath, in Inghilterra, celebra la bellezza di colore. Solo un anno prima negli Stati Uniti si inizia a commemorare il “Martin Luther King Day” e i principi del pacifista e leader afroamericano. Commemorazione che verrà, però, onorato da tutti gli Stati americani solo a partire dal 2000, dieci anni dopo la fine ufficiale dell’apartheid in Sud Africa.

Sempre nel Regno Unito, questa volta a Londra, è ambientata l’edizione del 1988 a firma di Barry Lategan, che introduce per la prima volta la figura maschile, ridotta in quel caso ad oggetto in quanto rappresenta il prodotto principale dell’azienda, essendo Hugo Bregman, il modello, avvolto da una tuta che rappresenta il battistrada delle gomme. Da allora il ruolo maschile viene esaltato sino all’edizione di Karl Lagerfeld del 2010, anno in cui l’aspirante cuoco Baptiste Giabiconi, scoperto in una palestra, rappresenta la bellezza maschile greca del periodo classico e nello specifico la maggiore delle divinità elleniche, Zeus. Per la prima volta l’uomo diventa protagonista di “The Cal”, relegando la presenza femminile a coprotagonista della scena.

Nel 2000 si entra in un nuovo millennio e si vuol comunicare anche un nuovo ruolo per la donna. Autrice del calendario è Annie Leibovitz, che sceglie come scenario New York, la città che non dorme mai, e negli shoots immortala quasi sempre corpi scultorei ma senza testa. Scrive Lina Sotis che il significato è rintracciabile nel contrasto con l’immagine dominante della donna: “in tempo di sesso gridato, sguaiato, ossessivo diventa cerebralmente, freddamente, volutamente, casto” (Corriere della Sera, 12 novembre 1999). Al contrario di quanto fatto dalla prima fotografa di The Cal, Jojce Tennyson, che nel 1989, sempre a New York, aveva immortalato una donna glamour e civettuola.

E se la bellezza curvy non è stata mai snobbata sulle sue pagine grazie alla presenza di Eva Herzigova, Monica Bellucci e Laetitia Casta, il mito della magrezza e dell’età è stato infranto nell’edizione del 2007, quando la settantenne Sofia Loren si presta all’obiettivo dei fotografi olandesi Inez Van Lamsweerde e Vinoodh Matadin. Nell’epoca della bellezza di plastica e sempre giovane, offerta dal bisturi facile, l’ambasciatrice vivente del cinema italiano si impone con il suo fascino e la sua sensualità senza età sulla bellezza di quattro ben più giovani attrici, quali Penelope Cruz, Naomi Watts, Lou Doillon, Hilary Swank.

Nella serata di presentazione del Calendario Pirelli 2012, affidato per la prima volta alla macchina di un italiano, Mario Sorrenti, dopo quella di un altro Mario, Testino, peruviano di nascita e italiano di padre, londinese d’adozione, sono state mostrate al grande pubblico le immagini che pochi ammireranno nel formato ufficiale. Il messaggio per il nuovo anno lo ha esplicitato lo stesso Sorrenti: “Mi sono avvicinato ai soggetti dei miei scatti costruendo un rapporto semplice, intimo e reale, che mi consentisse di trasferire purezza alle immagini. In ‘swoon’ – titolo dell’edizione del calendario per il 2012 – ho quindi posto i corpi a diretto contatto con la natura, che li accoglie come fossero un suo prolungamento, in una serie di immagini in cui roccia e scogli, terra e tronchi, cielo e mare si trasformano in scenografie che ospitano i corpi” (dal sito Pirelli). In piena armonia con la rinascente consapevolezza ambientalista di questi ultimi anni.

A quando, verrebbe da chiedersi, il superamento dell’ultimo tabù rimasto, ovvero la fruizione dell’arte di denuncia in formato “The Cal” da parte del grande pubblico. Venduto da chi lo ha ricevuto dalla casa produttrice, acquistabile su siti internet come Twenga a cifre irrisorie per collezionisti e fruitori dell’arte, ovvero dalla ventina a non più di duecento euro, tranne per le prime edizioni quasi introvabili, è anche un investimento, nonostante costi ogni anno mediamente due milioni di dollari all’azienda. Gioacchino Del Balzo, coordinatore e consulente del calendario Pirelli, rilasciò questa dichiarazione a tal proposito un paio d’anni fa: “E’ uno strumento di marketing importante, c’è un ritorno sull’investimento stimato tra il 60% e l’80%” (Panorama, 15 ottobre 2010). Senza che esso sia venduto. Dunque, anche senza la commercializzazione su larga scala, che lo assocerebbe ad uno dei soliti calendari, sua giammai riuscita imitazione, The Cal ha tutti i numeri per poter superare il suo ultimo tabù.

 

Pamela Cito

 

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