La mia generazione ha perso

La mia generazione ha persoEra il titolo di una canzone dell’ultimo Gaber. Cosa ne sarà della nostra generazione, degli odierni trentenni o giù di lì? Alla luce degli ultimi eventi siamo forse la generazione degli “indignati”? Dei precari? Dei telefonini? O cosa? Nessuna illusione: vittime e colpevoli hanno spesso lo stesso volto. Ciò che cambia è la circostanza. Chi oggi gestisce il “potere” è stato giovane, ragazzo. Chi oggi è un arrivista, uno sfruttatore, un tempo si è formato o non formato. Siamo quelli che si indignano quando la corruzione ci relega in fondo agli elenchi dei concorsi, ma siamo quelli le cui raccomandazioni non erano sufficienti. Ci indigniamo perché manca il lavoro e prima del resto abbiamo in tasca l’ultimo modello di cellulare. Ho lavorato più di tre anni, con contratti a tempo determinato, in una nota azienda nel sud, come operaio semplice. Posso dire che non sono sicuro di aver mai convinto i miei “compagni” di esservi acceduto senza raccomandazione. Anche i test di accesso alle università sono spesso truccati, superarli è molto frequentemente questione di “spinta”. Ma ci si indigna spesso solo dopo non essere entrati, nonostante le promesse dei “potentucci vari” di turno. Tutti sono contrari ai legami con la politica specialmente dopo esserne stati esclusi. Non ci sono solide basi morali, la nostra generazione, educata dalla televisione, è ora in balia del vuoto. E quella precedente spesso è di cattivissimo esempio. Posso ben dire di aver visto persone di ogni classe sociale pronte ad essere, e a fare, quello per cui molti, oggigiorno, sono esposti alle varie gogne di mediatiche e non. Il fatto che le “facilitazioni” siano espedienti socialmente trasversali non giustifica chi le fa a farle e neppure chi le cerca a cercarle. Tuttavia un sereno esame morale è bene farlo prima di puntare il dito.  Ma la questione è molto difficile da trattare perché enormemente sfaccettata dalle sfumature che apre il tempo in cui viviamo. Abbandonarsi al pessimismo è uno degli errori più probabili nei quali si può cadere. La visione deve essere centrata sulle opportunità reali, quelle più vicine, con un occhio sempre puntato sul sogno. La crescita deve essere innanzitutto interiore. Appurato che il mondo non si cambia, e credo che dopo l’adolescenza sia un fatto acquisibile dai più, bisogna imparare a crescere sé stessi. La sola svolta è quella individuale. La sommatoria delle singole svolte educherà la società. Essere pronti significa saper aspettare ed anche saper forzare le porte quando la materia è traboccante. Non si tratta di una rivoluzione alla Che Guevara (tra l’altro per certi aspetti condivisibile),  ma di una presa di coscienza maturata e decisa. Certo non è sempre così facile o naturale o solo fattibile. La vita educa anche al fallimento. Se quest’ultimo non è costante finisce per essere un insegnante notevole. La spregiudicatezza di certa finanza, che affama il mondo, e la pochezza di quasi tutti i grandi politicanti, vecchi sotto ogni aspetto, devono essere continuamente sotto gli occhi della nostra generazione, ma non devono impegnarci esclusivamente in una trattazione sterile dell’elenco. La ricetta per cambiare le cose come spesso accade non esiste. Ma chiunque sente forte in sé la coscienza matura di poter fare, con serena fermezza, qualcosa per cui si sente pronto e di cui capisce il bisogno, ha il dovere di esprimersi in ciò per cui sente la spinta. Sia essa una spinta politica, economica, culturale, sociale, artistica o morale. Chi oggi fa parte delle ultime generazioni è stato privato di serie opportunità, ma non ha subito guerre (in Italia). Ha spesso patito anche grandi ingiustizie, ma non la fame (salvo casi particolari si intende).  E per non perdere tutto quello che si ha, o a cui si ambisce, occorre muoversi con cautela e decisione. Evitare la funzione totalitarizzante degli slogan è sempre un buon esercizio per evitare gli scompensi degli eccessi. Il futuro giudicherà il verso nel quale si muoverà l’odierna generazione dei giovani: la nostra. La speranza viva è quella di poter dissentire dall’affermazione da cui prende titolo l’articolo quando in futuro si potrà fare, se ci sarà concesso, qualche bilancio.

 

Antonio Torre

 

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