L’atarassia del nostro tempo

La parola atarassia viene dal greco e nella lingua greca significa assenza di agitazione. E’ una parola usata nell’ambito filosofico.  Alcuni filosofi greci sostenevano la necessità di una sorta di imperturbabilità davanti al dolore e alle passioni.  Per vivere bene bisogna distaccarsi e non lasciarsi coinvolgere in modo intenso. Una volta allontanate le angosce si può assaggiare la felicità. I desideri vanno tenuti a bada, sono loro che ci procurano dolorose tensioni. Consapevoli della inutilità dei desideri si deve condurre una vita tranquilla, appartata, legata al piacere disinteressato delle amicizie. Solo i desideri naturali vanno assecondati, gli altri sono solo fonte di turbamento e in alcuni casi, di dolore. Un desiderio insoddisfatto ci  toglie la gioia di vivere. L’atarassia non prevede certo l’abbandono all’edonismo, alla lussuria ecc. Tutto può essere trascurato perché è illusorio. Anche la verità stessa ha i suoi lati oscuri  e niente è perfetto. La mente umana ha i suoi limiti e l’uomo per non cadere nell’incertezza del quotidiano, deve volare alto, essere indifferente, non provare disagio. Il saggio è colui che, compresa la realtà, non si lascia intimidire e vive beato lontano dalle grandi e sconvolgenti passioni. Il poeta latino Orazio ci invita  a non pensare al futuro, ma di vivere alla giornata (carpe diem, cogli il giorno). Il pensiero del futuro va allontanato perché è causa di rovelli. Nel nostro tempo molte persone si comportano come se avessero per così dire l’animo anestetizzato.  Pensiamo al caso del giovane che anni fa, dopo aver ucciso entrambi i genitori per soldi, si recò in discoteca con gli amici come niente fosse. Si distrugge la vita di una persona, si uccide come una cosa di ordinaria amministrazione. Non si provano emozioni, rimorsi, ma soprattutto non si prova pietà. La morte  degli altri è solo un inciampo, una piccola caduta, subito siamo  pronti a rialzarci più vispi di prima. In fondo riguarda gli altri e il nostro egoismo è troppo forte. Non conosciamo la pietà, la misericordia e quindi risultano vane le parole del vangelo: se aveste compreso il significato di misericordia, io voglio e non sacrificio non avreste condannato persone senza colpa. Nessuno ci insegna la pietà, il rispetto degli altri, la comprensione, nel senso letterale del termine: prendere insieme. Non siamo abituati alla parola noi, preferiamo il più semplice IO.


 

Ester Eroli

 

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