Lavoro come miraggio

Lavoro come miraggioIn tempi di crisi economica è sempre difficile trovare lavoro, ma anche nel passato non era un’impresa facile. La disoccupazione è la piaga delle società postindustriali.  Spesso si finisce per svolgere un’occupazione che non ha nulla a che vedere con la nostra preparazione. Ci sono insegnanti che si sono accontentati e sono stati costretti a fare i semplici impiegati,  elettricisti che poi fanno gli infermieri, medici che lavorano in radiologia non trovando sbocchi per la propria professione.  Il mondo del lavoro è come un mare in tempesta dove è difficile pescare e poi alla fine, alla cieca, si pesca qualcosa che a mala pena riesce a farci sopravvivere.  I concorsi stessi sono un ginepraio in cui è complicato orientarsi. La preparazione al concorso pubblico richiede l’acquisto dei bollettini, dei libri, e diventa una spesa per le tasche già povere dei disoccupati.  Il giorno del concorso è un giorno nefasto perché si vedono milioni di persone radunate magari solo per quindici posti da occupare. Si torna a casa demoralizzati e depressi, con il morale sotto i piedi. Quella folla riduce enormemente le nostre speranze di farcela.  L’esasperazione conduce  a seguire le strade più tortuose, sviluppa l’ingegno. A questo punto in Italia soprattutto scatta il meccanismo della raccomandazione. Allora grazie a una buona parola si riesce ad entrare magari come commesse in un supermercato, dove ci sembra impossibile che ci sia bisogno di  una mano, eppure è così. Il giro di amicizie può aiutare la persona senza lavoro, perché grazie alla conoscenze che si lavora.  Ma anche la raccomandazione ha le sue spine e non è tutto agevole come sembra. Ci può capitare di avere come superiore una persona più raccomandata di noi, che ci comanda a bacchetta, ci umilia, magari più giovane di noi di molto. Dobbiamo sottostare a una persona giovane, spesso parente del proprietario, inesperta del mestiere  ma nello stesso tempo superba per il suo ruolo, tracotante, arcigna, che ha verso di noi un atteggiamento distaccato.  Noi al confronto non siamo nessuno nonostante anni di duro lavoro, di preparazione, e alla fine veniamo esclusi dal nuovo arrivato che ha carta bianca e decide ogni cosa senza nemmeno interpellarci come se noi non esistiamo.  Il giovane arrivato è altero, gode a comandare gli altri, ma anche insicuro, impreparato, incompetente. Allora scopriamo che la raccomandazione ha i suoi livelli e i suoi gradi e non è facile destreggiarsi fra persone privilegiate e protette. Ribellarsi significa andare incontro a vere ritorsioni, a una specie di mobbing. Allora meglio tacere ma è un silenzio rassegnato che spesso  grida vendetta. Sono ingiustizie che una persona vive sulla pelle e non sa mai come comportarsi. Diventare una statua di sale silenziosa appare l’unica soluzione, una statua senza aspirazioni, senza ambizioni, senza anima.

 

Ester Eroli

 

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