L’Hobbit, il trionfo della fantasia con qualche dubbio

L’Hobbit, il trionfo della fantasia con qualche dubbioDopo quasi dieci anni dalla fine della saga in tre film de Il signore degli anelli, torna Tolkien al cinema con il prequel, L’hobbit, sempre diretto da Peter Jackson, con un cast di new entry e glorie della precedente storia, dal simpatico Martin Freeman protagonista come Bilbo al grande Ian Mc Kellen ottimamente doppiato dal nostro Gigi Proietti come Gandalf, dall’affascinante Richard Armitage re dei Nani a Cate Blanchett al siparietto iniziale con i redivivi Ian Holm e Elijah Wood.

Un 3D innovativo ma il film funziona anche in formato normale, una colonna sonora che riecheggia quella degli altri film con un bel brano cantato nuovo, gli splendidi scenari della Nuova Zelanda, il gusto della fiaba, i valori di amicizia, solidarietà e di eroismo nella semplicità: sono tante le cose buone di questa fiaba per tutti natalizia e sarebbe sbagliato dimenticarle. Ma c’è anche qualcosa che stride e non poco.

Il signore degli anelli è un libro di mille pagine, diviso in tre parti e quindi reggeva benissimo la trilogia epica che abbiamo visto al cinema all’inizio del Millennio: non c’erano momenti di stanca, si partiva in chiave idilliaca per poi piombare nelle forze dell’oscurità, tra lotte e fughe, per raccontare in seguito il destino dei Regni delle Terre di Mezzo fino all’ultima, epica battaglia.

L’hobbit, prima incursione di Tolkien nel mondo delle Terre di Mezzo, nasce come libro per ragazzi, non particolarmente lungo, sulle trecento pagine in tutte le varie edizioni: un’avventura fiabesca che si esaurisce in uno spazio medio, senza epica e senza ridondanza. Una storia che funziona ma che è più una prova generale se non una storia a se stante rispetto a Il signore degli anelli. Ci sono anticipazioni, ma che si colgono più a posteriori che mentre uno legge, del resto Tolkien con il suo Hobbit voleva scrivere una storia per divertire i suoi figli, non molto di diverso e di più.

Peter Jackson, reduce dall’aver reso lo struggente thriller femminista Amabili resti un baraccone di effetti speciali con poco pathos, salvo che in due scene, prende L’hobbit e lo dilata, in tre film di cui solo il primo esce adesso, per cercare di replicare il successo della saga che l’ha consacrato regista di culto ad Hollywood.

E senza togliere niente a tutto il buono che c’è nel film, l’operazione sembra, dal primo film e dopo due ore e mezza di vicenda che si conclude in medias res, una minestra annacquata, magari anche buona, ma annacquata. L’hobbit rivive e ricrea molte delle situazione della trilogia, tra visite a Gran Burrone, terre idilliace, agguati di troll, montagne che diventano giganti, corse, agguati, omaggia molto fantasy di ieri e di oggi, a cominciare da Il trono di spade, ma alla fine non riesce ad essere trascinante, divertente, irresistibile, come la trilogia del Signore degli anelli, mancando di soffio e spessore, allungando quello che poteva essere benissimo un bel film singolo fantasy anche con invenzioni e licenze poetiche non sempre riuscite e interessanti.

E pur lasciando con un cliffhanger non conforta al cento per cento sul possibile risultato dei prossimi due film, che a quanto pare saranno della stessa durata. Detto questo, risulta vergognoso che nel nostro Paese sia battuto al box office da una commedia pecoreccia di casa nostra, ma forse anche per colpa del fatto che sono state distribuite troppe poche copie in formato normale rispetto al 3D, percepito da molti come faticoso per la vista e per il portafoglio in tempo di crisi.

E comunque un paio di scene sono comunque capaci di creare brividi nella schiena e di far inumidire gli occhi: ma è tutto troppo lungo e dilatato, come mettere l’epica laddove l’autore aveva messo solo, si fa per dire, ironia, avventura e fantasia.

 

Elena Romanello

 

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