Lingue morte

Lingue morteTutti sappiamo che la lingua parlata subisce una evoluzione, essendo mobile e fluida. Infatti dal latino sono venute fuori le lingue romanze e i dialetti. La nostra lingua ufficiale nazionale sta sicuramente predominando sui singoli dialetti regionali. Per uno specifico fenomeno di erosione linguistica alimentato dai giornali e dalla televisione si è ridotto l’uso dei dialetti a vantaggio di una lingua ibrida infarcita da inglesismi e termini stranieri. Nella vita relazionale e sociale si preferisce la lingua madre plasmata da anni di storia e letteratura. Si è scoperto che solo il 5% della popolazione italiana continua a parlare un dialetto stretto regionale. La maggior parte usa l’italiano puro altri alternano lingua locale a nazionale, ma quella locale la usa solo in ambito familiare e paesano. Sono poche le iniziative di rivalutazione dei dialetti, salvo la salvaguardia del teatro dialettale. I dialetti sono considerati in una posizione subordinata rispetto alla lingua nazionale, confinati solo nelle aree geografiche di riferimento. La frammentazione dialettale non è più così vistosa, anche se rimane la costante territoriale. Intanto i giovani cercano di parlare la lingua pura della nazione rifuggendo dai dialetti, che pure hanno un valore storico e culturale. I dialetti sono un richiamo alle radici, ma stanno scomparendo, appaiono ogni tanto nei striscioni degli stadi dei tifosi. I giovani non amano conservare i dialetti che pure hanno un loro lessico, una loro grammatica, una loro letteratura, una loro tradizione letteraria, un loro modo di influenzare la lingua ufficiale. I giovani sembrano lontani dai dialetti ma poi usano parole turpi e volgari come pacco, malloppo per alludere alle parti intime maschili e altre nefandezze allora è meglio esprimersi in dialetto che è più piacevole.

 

Ester Eroli

 

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