L’ultima intervista di Pasolini, di Furio Colombo e Gian Carlo Ferretti, Avagliano (Roma, 2005)

L’ultima intervista di Pasolini, di Furio Colombo e Gian Carlo Ferretti, Avagliano (Roma, 2005)Oggi che, tra l’altro contemporaneamente, Furio Colombo interviene sul Fatto Quotidiano e siede in Parlamento, evidentemente, leggere senza veri condizionamenti di sorta questa sua intervista a Pier Paolo Pasolini, anzi leggere soprattutto le risposte di Pier Paolo Pasolini all’attento giovane giornalista d’allora Furio Colombo, come risentire l’intervento del critico e studioso Ferretti oggigiorno che lui è professore ‘ugualmente’ ai quei professori che i tempi della relazione con Pier Paolo Pasolini, è senza dubbio difficile. Ma proviamo a farlo. “L’ultima intervista”, tra le altre cose pubblicata dopo la morte del poeta, mai può esser accantonata. E se, in un certo senso, le pur importanti parole di Gian Carlo Ferretti possono apparire di secondaria importanza, giunti al momento della lettura dell’intervista torna sempre e comunque quel ‘lieto’ sentimento di rabbia mista a impotenza che raggela e raschi nell’anima nostra. Perché? Innanzitutto perché Pier Paolo Pasolini fa avvertire una paura che sentiamo dopo oltre trent’anni; e che, in special modo, portò lui alla morte per mano d’assassinio tutt’ora non chiarito in termini giudiziari. Senza che sia necessario rispiegare chi fu Pasolini, persino dopo lettura degli ultimi libri pubblicati sull’uomo e sull’opera, proviamo semplicemente e solo a immaginare che cosa sta chiedendo all’intellettuale scomodo e impegnato, all’artista eclettico quanto eccentrico – nonostante questo mai (almeno i tromboni) vogliamo ricordarlo – di testimoniare con le sue parole d’una vera e propria fobia che lo stesso autore della rivelazione vorrebbe far divenire senso comune. Quello che vedeva e tutto ciò che intuiva allora. A partire dalla mutazione, prima di tutto antropologica, dell’italiano. Ma, evidentemente, nel quadro di trasformazione complessivo di quello che ancora resisteva per esser definito Belpaese. Grazie a questo libro, comunque, riusciamo nuovamente a spiegare, anzi meglio spiegarci, un paio di cose che dovrebbero ormai essere chiare. Altro che salsette piccanti aggiornate al 2000. Altro che nostalgia. Dunque non basta accodarsi a qualche spunto di Belpoliti e Pascale. Il dissidio che viveva in Pier Paolo Pasolini, molto similmente a quello di tanti altri grandi protagonisti, osannati o in ombra che siano, in vita e in morte che siano, della vicenda letteraria, permise, come del resto la gioia serena di molti altri, all’autore di scrivere, e persino vivere, l’attualità per conoscere i pericoli del futuro prossimo. Non per nulla, dopo trentacinque anni dalla morte del poeta, ognuno che vuole si mette a citare Pasolini e, per giunta, a dar ragione al Pasolini che invece con le sue parole non stava che annullando la forza del qualunquismo diventato imperante. Basta rileggere le sue parole. Per capire. E specialmente per capirci. Ma, con la possibilità, che si possa persino noi avere il forte timore di trovarci dalla parte affidata ai colpevoli. Però consoliamo se, invece, riusciamo a non tirarci fuori dalla ricerca della verità storica, costantemente, ovunque, comunque. Cefis morì. Eppure tanti altri padroni dell’oligopolio nazionale e transnazionale sono vivi e vegeti.

 

Nunzio Festa

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.