Perfica

La parola prefica viene dalla radice del verbo latino praeficere nel senso di farsi avanti. Le prefiche erano donne che prendevano parte alle cerimonie funebri per cantare lamenti e lodi per il defunto di solito dietro compenso e pagamento per l’intervento. Erano donne prezzolate per piangere ai funerali con lo scopo di fare onore al defunto, specie se era di nobili origini.

Si tratta di una tradizione molto antica in uso nell’antico Egitto  e in Grecia e nell’antica Roma dove i cortei funebri erano sontuosi. Omero stesso ne parlava nei sui scritti.  Poi il costume si diffuse in Europa. nel Medioevo la chiesa tollerava simili tradizioni diffuse in Sicilia, in Albania, Romania, Irlanda. Molto diffusa soprattutto nel Salento, a Otranto e nei borghi limitrofi. In epoca cristiana furono proibite  le lamentazioni perché eccessive. I padri della chiesa si schierarono contro tale usanza. Negli anni cinquanta era molto diffusa nel sud d’Italia, in Calabria, nel centro della Sardegna, in Grecia. In Sardegna c’era un vero e proprio rito. Nel nord d’Italia erano i bambini orfani degli istituti dietro compenso a piangere accorati ai funerali specie di famiglie gentilizie. I poveri , attaccati alle tradizioni, avevano una donna sola che con occhi compassionevoli raccontava la storia del defunto. In Basilicata si poteva assistere a scene strazianti. il compenso al sud era in denaro o in altra forma.

Le prefiche di solito erano più donne, soprattutto anziane, educate da piccole,  che nella casa del defunto quando il defunto era nella camera ardente o in casa cantavano lamenti e lodi accompagnate anche in certi casi da musica. Con le fiaccole precedevano e seguivano il corteo funebre nelle vie. Di solito avevano i capelli sciolti e spettinati, si graffiavano la faccia e si strappavano i capelli con grida disperate e canti funebri. Non erano quasi mai parenti, ma semmai amiche della famiglia del defunto. la loro scelta poteva però avvenire in ambito familiare. Manifestavano la disperazione per la perdita del defunto e inducevano tutti a partecipare alla commozione. La consuetudine voleva che le cantilene fossero strofe imparate a memoria e tramandate per via orale e dette con voce sommessa rotta dal pianto. Le filastrocche erano accompagnate, specie nella vita contadina, da lamenti, canti  e singhiozzi. C’erano sempre fazzoletti al naso e sul capo delle donne. I canti non venivano ripetuti nella vita normale perché si diceva che portasse sfortuna. Durante la vera funzione religiosa le prefiche mercenarie facevano preghiere per evidenziare il valore del defunto. Di solito le prefiche si presentavano con le occhiaie, scarmigliate e provocavano le lacrime con vari espedienti. indossavano abiti scuri, un velo nero sul capo e iniziavano a compiangere nella casa del defunto per toccare l’anima dei presenti. La veglia funebre anche notturna era accompagnata con rappresentazioni strazianti, lamenti esagerati, commenti, grida assordanti più alte dei parenti per impietosire i partecipanti. Quando nella casa del defunto arrivava il sacerdote le lamentazioni raggiungevano l’apice, erano strilli macabri. carichi di tensione, gesti di disperazione   Dopo la sepoltura dominava il silenzio

Questi canti hanno lasciato delle tracce come mostrano le raccolte di nenie in greco e in dialetto.

La tradizione del pianto simulato ci appare ora illusoria, inutile, non importante, ridicola. Prefica ora è divenuta sinonimo di piagnona. Non si può piangere dietro compenso. Il dolore deve essere un sentimento vero.

Nella nostra società il dolore non sembra più necessario, molti funerali vedono la poca partecipazione di gente annoiata e distaccata, di giovani con lo sguardo ironico senza lacrime. Allora pensiamo al pianto delle prefiche che era pur sempre una forma di partecipazione e di rispetto al dolore della famiglia.

 

Ester Eroli

 

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