Quando una Nazione perde il “treno della memoria”

Quando una Nazione perde il “treno della memoria” Un secolo di ideologie, sfociate nei totalitarismi più biechi che il genere umano abbia conosciuto, si è chiuso alle nostre spalle da un decennio appena. Ad emblema del male, generato dal genio del Superuomo, è stato eletto il nazifascismo. Per la prima volta l’umanità si trova dinanzi all’assenza di limiti della propria volontà, scoprendo che il genio, persino quello del presunto Superuomo, si può sviluppare in conflitto con il mondo e la sfera pubblica. La comunità internazionale si impone di non permettere il riproporsi di simili scenari all’apertura di un cancello, motivo per cui si processano criminali e si creano organismi sovranazionali. Per la prima volta gli Stati cedono il passo ad entità riconosciute come garanti di diritti universali ed inalienabili.

Eppure non c’è sbarra né Palazzo di Vetro che possa cancellare il senso di smarrimento e colpa che l’opinione pubblica ha interiorizzato al termine delle due Guerre Mondiali. Come non c’è articolo né documentario che possa spiegare alle nuove generazioni come il genio non sia riuscito a trovare accordo alcuno con la società del tempo. La catarsi che accomuna l’umanità di tutti i tempi si è scoperto essere la memoria. Che avesse la forma di una pellicola o quella di un libro non è mai importato molto, perché tutto avrebbe contribuito alla causa del ricordo come mezzo di espiazione oltre che di prevenzione. Finché ci si è resi conto che, col venir meno delle testimonianze di chi ha vestito i panni del detenuto nel cuore della “civile” Europa, il filo diretto col passato sarebbe stato quel non-luogo che sono stati i campi di concentramento. Lo scollamento tra il mondo e le persone che lo abitano è, secondo Hanna Arendt, il punto focale cui volgere l’attenzione nei tempi bui, ovvero nei momenti in cui si avverte l’impotenza, che giustifica il rifugio individuale. Ciascuno ha il diritto di scegliere di rifugiarsi nel proprio luogo del cuore, soprattutto se all’esterno vige l’incertezza economica, politica, sociale e culturale. Ma ciascuno ha il dovere di non ignorare la realtà, per quanto la singola volontà sia ininfluente nelle dinamiche generali. Affinché non si produca lo scollamento tra il mondo e le persone, che in qualità di cittadini o di apolidi sono membri dello stesso tramite le sue nazioni ancor prima dei suoi Stati, soprattutto nei tempi bui non si può prescindere dalla scoperta del non-luogo, rappresentato dai campi di concentramento.

Il mezzo con cui raggiungere la meta della memoria, che sorge nel centro del Vecchio Continente, è un Treno che parte da Torino, laddove l’Italia è stata creata sulla carta e le organizzazioni sono state indirizzate alla vittoria finale coincidente con la riunificazione della nazione. Questo Treno da anni percorre lo stivale per consentire di ridare voce e dignità ai sommersi ed è rivolto ai tanti adolescenti, che non hanno avuto la possibilità di dialogare con i salvati, ritrovandosi in un mondo alienato e depauperato dei valori, nel quale basta una crisi economica a declassare per la prima volta la memoria ad aspetto culturale e dunque di secondaria importanza rispetto all’esigenza di conservare il benessere acquisito. Regione dopo regione, classi di giovani di ogni ceto ed età sono partite alla volta di Auschwitz anche grazie al sostegno pubblico. In un periodo di crisi come quello attuale, dovendo eliminare le uscite considerate meno fruttuose, si è rivolta l’attenzione a realtà come quella che organizza un viaggio considerato un doppione, stando ai comunicati ufficiali di governatori verdi e di onorevoli rossi. Così questi esponenti, che di diritto ma non di fatto si dimostrano eredi della classe politica che ha fatto l’Italia, hanno tagliato i finanziamenti annuali erogati in passato dalla loro Regione per permettere a tutti gli adolescenti delle scuole superiori piemontesi di vivere un’esperienza unica. Vagone dopo vagone, il rischio è che altri politici regionali e provinciali taglino i fondi destinati alla memoria, che prima d’ora in Italia non ha mai conosciuto lo spazio rivoltole in Germania. Elemento che dovrebbe far riflettere molto sul grado di civiltà raggiunto da due Stati nati negli stessi anni e con dinamiche molto simili.

Alla memoria giammai condivisa della storia patria, si rischia concretamente di associare quella dell’annichilimento, già conosciuto col nazifascismo, sorto in un Europa i cui germi dell’odio non sono stati ancora annientati dall’unico vaccino conosciuto, quello della conoscenza diretta, possibile tramite l’incontro con i sopravvissuti o con i luoghi dei sommersi. Lo dimostra, ad esempio, il crescente potere che gruppi neonazisti stanno acquisendo soprattutto tra i giovani in tutti i Paesi europei, sebbene con velocità diverse. Si rafforza così l’alienazione, la società diventa un’accozzaglia di individui che agiscono per incrementare la propria forza anziché il potere, che sorge solo quando c’è l’unione delle forze. Uno Stato, soprattutto nei tempi bui, non può perdere le occasioni di crescita, anzi deve crearne di nuove. Su questo punto non si può non essere in accordo con i governanti dei vari colori eppure sempre più della stessa bandiera. Il punto, però, è che se una Nazione, che dello Stato è l’anima, si estrania, o, per dirla alla Hanna Arendt, se finisce col non riconoscere la realtà perché rannicchiata nel proprio luogo che assume l’aspetto di un’isola che non c’è, allora quella Nazione perde la propria occasione di crescita. Perde il proprio Treno della Memoria.

 

Pamela Cito

Foto: Gabriele Greco

 

2 Risposte a “Quando una Nazione perde il “treno della memoria””

  1. Interessante riflessione. A mio parere oltre al rischio di perdere il Treno della Memoria, ammesso e non concesso che la nostra “Nazione”, ammessa e non concessa anch’essa, ci sia mai salita dall’inizio alla fine del viaggio, è soprattutto il Treno per il Futuro. Quelli che tu chiami tempi bui, in realtà bui non sono affatto: sono costantemente illuminati dallo strapotere dei grandi imperi finanziari, dalle logiche bancarie con cui vengono controllati, e presto anche gestiti, i bilanci degli Stati europei in barba alle loro sovranità nazionali, dall’egoismo assunto a regola in tutti i tipi di rapporti sociali. Se fossero davvero bui ci sarebbe lo spazio per far emergere idee e visioni diverse del mondo, come i Geni del Medioevo dimostrarono. Purtroppo oggi, dove tutto viene desertificato e incasellato in schemi preordinati, lo spazio per proporre valide alternative al sistema liberale dominante non c’è più. Se l’è portato via il Treno del Falso Benessere, che tutto trita e tutto risucchia pur di continuare a viaggiare, compresa la memoria dei lager, dei regimi sanguinari e dei tiranni di questo e dello scorso secolo.

  2. Ciao Riccardo! In realtà “tempi bui” è un’espressione usata da Hanna Arendt in un suo saggio. Con tempi bui qui faccio riferimento alla vera o presunta mancanza di valori, che la Arendt racchiudeva nel concetto di “amicizia” tra i popoli e i cittadini, come unico antidoto al nichilismo. Per quanto riguarda i “tempi illuminati” di cui tu scrivi, se il riferimento è agli “Illuminati” e al loro “Nuovo ordine Mondiale”, sarebbe interessante capire quanto di luminoso ci sia nel loro progetto. L’idea che volevo far emergere con il “buio” era anche quella di oblio cui giunge la coscienza individuale in funzione del tuo “Falso Benessere”. Non credo si stia in due mondi diversi, semplicemente cambia il punto di vista. Inoltre, spero di aver omaggiato nel mio piccolo quanti hanno contribuito a rendere possibile la memoria, per quanto bistrattata, che fossero filosofi o scrittori, i riferimenti ci sono. Faccio un esempio: parlando di sommersi e salvati è evidente il ricordo di Primo Levi. Grazie per il tuo interessante commento e punto di vista!

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