Mike Leigh ha di solito raccontato storie moderne: stavolta sceglie di portare il suo pubblico in un Ottocento descritto con dovizia di particolari e cura, ma molto dimesso, per raccontare gli ultimi venticinque anni di un artista che come persona era anaffettivo, opportunista, misantropo ma la cui arte, come spesso succede, è stata più importante di lui.
Vissuto tra il 1775 e il 1851, non capito dai suoi contemporanei e da personalità come la regina Vittoria per il suo rifiuto delle regole pittoriche, Willam Turner visse con il padre fino alla morte di questi (oggi lo definerebbero un bamboccione), ebbe un matrimonio fallito con due figlie che ignorò tutta la vita, ebbe per decenni una relazione non ufficiale con la governante e si legò senza dirle niente della sua vera identità con la locandiera del posto di mare dove andava a dipingere, vivengo una vita solitaria e abbastanza grigia, salvo per queste intuizioni artistiche incredibili e questi quadri che sono rimasti come icone oltre la sua epoca, anzi allora non furono proprio capiti.
Turner secondo Mike Leigh si rivela quindi come un artista né maledetto né integrato, geniale nella sua arte, e il regista applica in maniera efficace la sua solita introspezione psicologica, raccontando come certi problemi, la solitudine, l’incapacità di amare, il voler essere diversi, in realtà siano sempre eterni, raccontando in parallelo un’epoca che fu unica per fermenti artistici, culturali e cambiamenti sociali.
Turner di Mike Leigh si rivolge ad un pubblico che abbia già una vaga idea di chi sia Turner almeno come pittore, presentando un film con un’ottima ricostruzione d’epoca, non fredda e fine a se stessa ma palcoscenico di gente viva e non fantocci idealizzati a cui fa da contraltare un cast non certo di divi ma di attori capaci, a cominciare da Timothy Spall, un Turner borbottone e scostante, che in questa interpretazione corona una carriera di ruoli spesso di contorno, a volte da cattivo (era tra gli altri il traditore Peter Minus nella serie di Harry Potter), ma di grande spessore, che testimonia una provenienza teatrale e un’aderenza ad un personaggio che cercava la realtà dal vero, reinterpretando luci, ombre, colori, nebbie, paesaggi.
Come raccontato nel film in una delle sue scene più belle, quando Turner rifiuta l’offerta di un riccone di acquistare i suoi quadri, le opere del maestro sono oggi a Londra, lasciate ai musei a disposizione di tutti come era nelle sue intenzioni. Il grosso dei quadri di Turner è alla Tate Britain, il luogo per eccellenza della pittura inglese, ma c’è qualcosa anche alla National Gallery, mentre va detto che di mostre temporanee in giro in tema ne sono state fatte molto poche, tra cui una a Torino nell’ormai lontano 1981.
Elena Romanello