Si tratta di un combattimento reale con avversari immaginari e tra questi il più temibile, se stessi.
Il karate è questo, un’arte marziale. Marziale per la concentrazione che richiede, arte per la bellezza che esprime. Ogni gesto ha un respiro, una forza, un tempo.
Sono tante le varianti del karate, tanti stili, tante differenze, ma tante accomunanze, una su tutte la partenza. E si parte dal karate tradizionale per poi comprendere che l’arrivo non è mai esistito.
E non conta quanto hai resistito, quanto hai faticato, quanto hai sudato, l’importante è respirare e dare ad ogni fiato la giusta importanza, come fosse l’ultimo.
Il karate non può essere definito uno sport, non può andare alle Olimpiadi. Perché non è nella gara e nel punto che l’atleta trova il punto della sua vittoria, ma nel suo continuo non arrivare alla perfezione.
Perfezione, di un gesto tecnico, perseguita attraverso la costanza di un allenamento che va oltre il tatami, ma che si perde nel muoversi ingestibile del mondo, dove ogni giorno è un pugno al petto e il rispetto è un tappeto usurato.
Eppure ha qualcosa in comune con le Olimpiadi, le tre gocce: corpo, mente, spirito. Dove non arriva il corpo arriva la mente, dove non arriva la mente arriva lo spirito.
Il karate ha anche i suoi principi, i suoi dogmi scritti nel Dojo Kun. Cinque cardini che si incatenano di costanza per bloccarsi in essenza.
hitotsu, jinkaku kansei ni tsutomuru koto
il karate è via per migliorare il carattere
hitotsu, makoto no michi wo mamoru koto
il karate è via di sincerità
hitotsu, doryōku no seishin wo yashinau koto
il karate è via per rafforzare la costanza dello spirito
hitotsu, reigi wo omonzuru koto
il karate è via per imparare il rispetto universale
hitotsu, kekki no yū wo imashimuru koto
il karate è via per acquisire l’ autocontrollo
Lo spirito del karate va oltre il tempo, il tempo della vita. Una vita vittima del tempo, la vecchiaia.
Ma un anziano maestro ha più spirito di un giovane allievo. E la forza per il giovane diventa un limite, un dispendio ingestibile di energia, un punto di debolezza.
Il maestro ha più esperienza, più combattimenti, più fallimenti, più cicatrici. Il maestro ha eseguito più kata.
Chissà quanti kata ogni giorno ed ogni notte. Quante vittorie e sconfitte. Quanti sbagli, falsi abbagli e quanta poca luce nel tunnel delle autostrade pensieri verso i caselli dell’esaurimento, pedaggi obbligati.
Ci si allena per difendersi. Si convive per vivere con vite non evitabili, abili viti che svitano o bloccano i nostri progetti.
Kata interminabili. Il corpo si sgretola, la mente si consuma e lo spirito si esprime.
L’ultimo passaggio da chiedere a se stessi per continuare il viaggio. L’ultimo miraggio per continuare un sogno. L’ultima raccolta per non maturare più.
L’ultimo sforzo, l’ultimo respiro, l’ultimo kata.
Santi Germano Ciraolo