Una strana bevanda

Molti dei giovani di oggi affogano nell’alcol i dispiaceri, i problemi. Anche in passato avveniva più o meno la stessa cosa ma in modo diverso. Pensando al passato appunto ci viene in mente una strana bevanda, originale, dal colore insolito, dal sapore complicato, complesso, inconfondibile. Un liquido il cui colore andava dal giallo paglierino fino all’intenso verde smeraldo e che si presentava alcune volte persino incolore. Il verde sovente era dato dall’uso di coloranti. Un distillato, ad alta gradazione alcolica con un leggero sapore di anice derivato dalla macerazione di alcune erbe nell’alcol. All’inizio puro era usato come medicinale. Nel gergo dei giovani della fine dell’800 era chiamato “la fata verde” come oggi troviamo il crack e altri nomi buffi. La fata verde usata abbondantemente, a digiuno, provocava persino crisi epilettiche e delirium tremens. Derivava dalla macerazione delle foglie e dei fiori della pianta detta assenzio maggiore. La bevanda, detta assenzio appunto , era diluita di solito con zucchero e acqua ghiacciata. Era la droga ufficiale delle generazioni dell’epoca, come oggi si diluisce l’eroina nell’acqua. L’assenzio veniva corretto con semi di anice verde, di coriandolo, di finocchio, di lavanda, menta, veronica, artemisia, cannella, salvia, liquirizia, vaniglia. Con il tempo si diffusero anche dei surrogati. L’assenzio fu la droga dei poeti decadenti, maledetti, famosi per la loro vita scandalosa. Di fronte alla crisi dei valori, al crollo della civiltà e dei miti della ragione e della scienza, al senso di disfacimento, allo smarrimento esistenziale, alla disastrosa rivoluzione industriale che riduce l’uomo a una macchina, all’angoscia, al distacco di una realtà grigia, al senso di sconfitta, al tomento interiore, all’emarginazione, alla solitudine, gli intellettuali dell’epoca, i giovani reagirono anteponendo il ricorso all’intuizione, alla voce interiore, alla folgorazione dell’anima. E’ vero che per sfuggire alla noia si erano creati dei paradisi artificiali fatti di assenzio ma è anche vero che tentarono di lanciare dei messaggi attraverso gli scritti, la poesia, l’atteggiamento trasgressivo, l’insensibile distacco. Si rifugiarono nel proprio intimo e lo scandagliarono, mettendo in luce gli aspetti più oscuri della propria interiorità. In una realtà piena di contraddizioni cercarono di comunicare disperatamente, nella speranza di essere salvati dal fallimento. Si rifugiarono in un mondo di simboli, di evocazioni prediligendo una vita oltre gli schemi. Il loro disagio era visibile, traspariva evidente. I poeti maledetti e tutte quelle generazioni inquiete sono passate alla storia, sono leggenda. Degas non per niente ha dipinto un quadro raffigurante questa situazione dal titolo “l’Assenzio”. Nel mondo dove l’incomunicabilità andava di scena ogni giorno i giovani dell’800 avevano trovato una forma di comunicazione. Allarmati ci guardiamo intorno e non troviamo tracce di messaggi fra gli adolescenti della nostra epoca. L’alcol di nuovo scorre a fiumi, a testimonianza del rifiuto, del disagio ma non è accompagnato nemmeno da una parola. Qualche volta dovremo pronunciare la parola che ci salva.

 

Ester Eroli

 

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