Ungere

Spesso crediamo ingenuamente che molte cose si possano fare gratuitamente ma non è così. In ogni contesto, in ogni momento, anche se chiediamo una semplice informazione ci viene richiesta tacitamente una controparte, un contributo non ultimo in denaro. Quando chiediamo informazioni  a un portiere dobbiamo dare una mancia, come ci mostrano anche dei film famosi. Ogni volta si deve pagare un obolo, un contributo per addolcire, per comprarsi la piazza. Dobbiamo ogni volta dare delle mance anche agli amici intimi, ai parenti, ai conoscenti. Quello che ci addolora è che nessuno fa niente per niente. Tutti vogliono qualcosa per le ragioni più svariate. Tutti sono interessati. Se non paghiamo ci guardano dietro, ci guardano con aria ironica, ci gettavo via e non ci aiutano. Si tratta di un comportamento annunciato.

Molti imprenditori sono costretti, come dicono nel gergo, a ungere per poter andare avanti e accaparrarsi un appalto, una commessa. Nelle situazioni più delicate fa da padrone la mancia che sembra l’unica porta aperta valida. Chi la riceve non ha compassione se chi la fa è un povero. I poveri sono invisibili. Ci si aggrappa alla mancia come unica ancora di salvezza. Chi la riceve mostra gli occhi vividi che si accendono per cupidigia. Ci sono quelli che si sono arricchiti con le mance.

La mancia è divenuta una moda elegante. Si usa nei bar, nei ristoranti dove i camerieri ci guardano con un falso sorriso aperto.

Negli ultimi tempi negli uffici persino i tecnici dei pc vogliono un regalo, una mancia per un intervento quando sono pagati dalla azienda per il loro lavoro e la loro collaborazione.

 

Ester Eroli

 

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