Vanagloria

La vanagloria è l’eccessiva importanza data alle proprie capacità materiali e spirituali, una forma estrema di narcisismo, di autoidolatria . La chiesa ha inglobato la vanagloria nel vizio capitale della superbia di cui ha parlato anche Aristotele. In verità essa è indipendente dalla superbia e può diventare maligna. Il termine, usato anche nell’antico testamento, significa vuota vanteria.

La differenza con il superbo è che  esso si vanta per qualcosa che in fondo esiste, invece la vanagloria è senza fondamento, senza motivo, una sopravalutazione dei propri gesti, del proprio carattere, dei propri meriti inesistenti, quindi è più odiosa. Quella effimera manifestazione di superiorità può essere fastidiosa e nociva, si tratta solo di fatuo orgoglio che porta al disprezzo, all’altezzoso distacco, alla mancanza di rispetto.

Il vanaglorioso ama solo i piaceri terreni e non cura l’anima, la crescita interiore, conduce una vita precaria fatta di presunzione e arroganza, ambizione priva di grazia.

Si tratta a livello medico di una vera patologia in certi casi, un disturbo della personalità che porta al compiacimento di se e alla assenza di valori morali, alla leggerezza di mente . Nelle donne la vanagloria è più marcata diventa civetteria, spocchia, mancanza di serietà , superficialità tronfia e meschina, vuota e fugace.

Molti vanagloriosi arrivano a praticare solo l’autoerotismo. La vanagloria ha quindi un sapore negativo. Si tratta di un pavoneggiarsi privo di fondamento  e credibilità. Trilussa paragona la traccia che lascia un vanitoso alla traccia della bava di lumaca.

 

Ester Eroli

 

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