4 settembre 2000 (Romanzo epistolare)

Una vita difficile romanzo epistolareDopo aver vagato senza meta per ore in preda all’ansia e allo sconforto tornai a casa. Ero spossata, distrutta. Non parlavo normalmente, farneticavo. Avevo la febbre, la fronte mi scottava. Avevo il morale sotto ai piedi. Una febbre divorante mi bruciava. Non pensavo che potesse venire la febbre. Scoprii che un forte stress può rendere una persona febbricitante. Ogni giorno facevo nuove esperienze, tutte deleterie, debilitanti, scioccanti. Ebbi conati di vomito, vomitai una bianca schiuma leggera che sembrava latte. Scoprii che un forte sconvolgimento psichico può provocare questo tipo di reazione. Il corpo che reagisce dopo essere stato sfibrato emotivamente. I medici mi parlavano in un linguaggio che stentavo a comprendere. Avevo uno sguardo assente e una totale confusione mentale. Credevo di diventare pazza o forse già lo ero e non me ne ero accorta. L’amore che rovina, che porta alla follia, alla perdita di coscienza, di identità. La notte mi venivano in mente solo frasi incoerenti. In realtà ad accompagnarmi a casa nell’ultimo tratto era stato un garzone di un fornaio, che gentilmente si era offerto, vedendomi alterata. C’era ancora gente positiva, questo mi rincuorava. Potevo ancora fidarmi. Il periodo che seguì lo vissi come un automa, fu buio come la notte. Fu una fase tetra come il mare in tempesta, la tempesta era dentro di me. Il cuore mi palpitava all’impazzata, sembrava voler uscire da me per sempre. Questo sconvolgimento doveva portare ad un’azione concreta. Dovevo agire non mi bastava soltanto rimescolare i pensieri. Abbandonai il gruppo come si lascia un fazzoletto al vento e per la cresima mi preparai da sola in casa, con la guida di un sacerdote in gamba. Mi chiusi in casa, muta, pallida, snervata, con gli occhi sbarrati, insensata. Era come se avessi preso un colpo in testa. Tutto il mio essere vibrava. La notte mi vedeva sveglia, priva di sonno e nella notte fresca scrivevo poesie malinconiche e tristi, struggenti versi di commiserazione. Cercavo disperata l’appoggio di qualcuno, solo la poesia mi sosteneva come una sorella, mi sorreggeva per non farmi vacillare, per non farmi perdere. Ero soggiogata dall’arte, dalla poesia. Per ammazzare il tempo sfogliavo suggestive riviste d’arte. L’arte poteva e doveva salvarmi.

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