Crisi economica per parlamentari e dipendenti, i risvolti

Crisi economica per parlamentari e dipendenti, i risvoltiCostituzione della Repubblica Italiana, Titolo III – Rapporti economici, articolo 36: il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

 

Già. Stante la crisi, o presunta tale, tale diritto può anche venir meno, pur in presenza di un lavoro che, tra alti e bassi, continua. Da quattro mesi, continua. Da quattro mesi, che non percepivo stipendio. Dall’estate 2010, che mi davano soldi col contagocce. Da una settimana, che mi son licenziato.

Di sicuro, il mio parere conterà poco o nulla, però ci terrei a esprimere l’idea che, da un anno ad oggi, ha preso forma e sostanza fra le mie cellule cerebrali. Questa crisi è un pittoresco paravento, che permette a pochi di celarsi per evitare noie legali o sindacali cui potrebbero andar incontro se la classe operaia o, più in generale, i dipendenti alzassero di poco la voce per reclamare un diritto palesemente sancito dalla Legge fondamentale dello Stato. Tant’è, della Costituzione possiamo davvero fare a meno: da quando seguo le vicende politico – istituzionali, cioè da quando posso usufruire pienamente del mio diritto di voto, non rammento un’epoca tanto deleteria e così ricca di spregio nei confronti della Carta Costituzionale. Logico, quindi, che di ciò che è scritto si possa serenamente, secondo loro, fare carta straccia. Loro, un lauto stipendio lo ricevono, per i trasporti e altre amenità non sborsano niente, le case le comprano a prezzi stracciati nelle zone più esclusive, la pensione si ottiene con poco: cosa volete che gli interessi di noi, della difficoltà di pagare le bollette, il mutuo sull’appartamento, le spese dei figli, i pranzi e le cene da mettere insieme?

 

Mauro Balbo

 

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