Nato a Roma nel 1405, si distinse fin da giovanetto per la vivacità del suo linguaggio e per la vis polemica. Dopo essersi segnalato per la brillantezza dei suoi studi umanistici e giuridici, si fece prete, ma proprio la sua vis polemica, colta come poche, destinata ad un pubblico di livello culturale superiore, gli precluse le soglie dell’alto clero, infastidito dalla sua ostentata saccenza. Deluso, si recò a Pavia per accettare una cattedra di eloquenza, lontano dalla sua Roma, ma che lo proiettò nell’olimpo dei filosofi ed umanisti del suo tempo. Ebbe modo di esporre le sue teorie assolutamente innovative e per certi versi rivoluzionarie, che fondevano concetti epicurei a dottrine agostiniane, giustificando nell’uomo la ricerca del piacere, non necessariamente spirituale, bensì istintivo. Le polemiche che ne scaturirono(la Santa Inquisizione era sempre vigile e punitiva), lo costrinsero a fuggire; girò diverse università italiane prima di fermarsi a Napoli, in cui trovò credito e protezione dal monarca locale: Re alfonso d’Aragona.
Vi rimase per 12 anni ed ebbe modo, con le spalle ben protette, di esternare il suo spirito polemista e contestatore dei dogmi ecclesiali. La sua opera: De professione religiorum fu, di fatto, una feroce e sarcastica denuncia contro l’ipocrisia della vita monastica e soprattutto dell’alto clero.
Papa Eugenio IV lo fece comparire davanti al tribunale ecclesiale invocandone severa condanna, ma lui, sempre per intercessione di Re Alfonso, riuscì a salvarsi. Il successivo Papa Niccolò I, vista la di lui fama e credito che ormai riscuoteva in tutta Italia, cercò di non inimicarselo, così, lo riabilitò e gli conferì la cattedra di retorica dell’Università di Roma.
Elegante umanista, critico acuto e pungente, le sue molte revisioni ideologiche e critiche della Chiesa, ante litteram, come detto in precedenza, divennero la base ideologica per Martin Lutero e per tutti i vari movimenti scismatici che si verificheranno in epoche successive. La sua opera si distingue per la profonda padronanza della lingua latina, il cui uso corretto, scritto e parlato era da lui considerato imprescindibile per qualsiasi uomo di velleità culturali.
Adriano Zara