Dolores Prato dei sogni

Dolores Prato dei sogniPer chi ancora non conoscesse Dolores Prato, una delle grandi scrittrici del secolo appena trascorso, la piccola e preziosa casa editrice Quodliber offre una ghiotta occasione di riscossa, pubblicando un corposo volume dal titolo secco di “Sogni” che a comprarlo online, cioè direttamente dalla casa editrice, costerà al lettore un piacevole 15 per cento in meno (da 34 euro a 28 e 90). Si tratterà, comunque, di soldi ben spesi, un regalo sopraffino per quanti, all’epoca di Facebook, dei tags e degli sms sincopati, continuano testardi e un poco fuori moda ad amare la lingua di Dante e quanti, come la Prato, la sanno usare con maestria antica, regalando immagini fresche, vive, al sapor di dialetto, che, come affermavano Giacomo Devoto e Giancarlo Oli (autori del famoso vocabolario Devoto-Oli) è vicino, più delle lingue benedette dall’ufficialità, al cuore della vita.
Ma prima di addentrarsi nel labirinto onirico, scritto in punta di penna, di questa signora della scrittura nata a Roma nel 1892, da una relazione extraconiugale di sua madre e cresciuta nelle Marche, a Treja, da uno zio prete (l’amatissimo Don Domenico, detto Don Domè) e da Paolina una zia zitella, occorre perdersi nell’infanzia di lei. Evviva di nuovo le edizioni Quiodliber che hanno riproposto qualche tempo fa “Giù la piazza non c’è nessuno”, il capolavoro della Prato, dove ci si innamora degli anni verdi trejesi di questa grande scrittrice…. Un titolo sgrammaticato, “Giù la piazza non c’è nessuno”, è evidente, ma con un profondo significato simbolico. Era infatti il verso slabbrato, poetico, di una filastrocca popolare che una zia di Dolores le recitava facendola galoppare, bambina, sulle ginocchia, donandole l’estasi dell’infanzia, la felicità perfetta e mai ritrovata. Un momento di luce, d’amore, di pura gioia nell’esistenza non priva di spine di una bambina rifiutata da mamma e sorelle e spedita in esilio in un piccolo paese delle Marche: Treja.
Difficile destino quello di Dolores e difficile è stato anche il percorso a ostacoli del suo capolavoro “Giù la piazza”. Fu infatti pubblicato nel 1980 dalla casa editrice Einaudi, ma tutto tagliato, ridotto a un terzo della sua magmatica lunghezza. A curare l’editing, Natalia Ginzburg (celebre il suo “Lessico famigliare”), che non usò certo il cesello. La Prato, allora ottantenne, ne fu assai addolorata e le sue proteste, nere su bianco, sono raccolte in un carteggio tra lei e la Ginzburg. Soltanto molti anni dopo, nel 1997, Giorgio Zampa, curò l’edizione completa del libro per la casa editrice Mondadori. Per chi scrive fu un amore a prima lettura. Ed ecco, a mo’ di esempio, l’incipit del volume (che conta 736 pagine). Scrive la Prato: “Sono nata sotto un tavolino. Mi ci ero nascosta perché il portone aveva sbattuto, dunque lo zio rientrava. Lo zio aveva detto: “Rimandala a sua madre, non vedi che ci muore in casa?”. Ambiente non c’era intorno, visi neppure, solo quella voce. Madre, muore, nessun significato, ma rimandala sì, rimandala voleva dire mettila fuori dalla porta. Rimandala voleva dire mettermi fuori del portone e richiuderlo”. Così comincia l’infanzia tradita della piccola Dolores. Un viaggio che non è solo dolore, ma anche luce di gioia, poesia, innocenza. E soprattutto grande, grandissima scrittura.
Un livello che si ritrova, tale e quale, in questo volume “Sogni”, curato da Elena Frontaloni, dove si muovono gli stessi personaggi che hanno popolato e plasmato l’esistenza di Dolores, ma che, nei labirinti onirici che ci regala, si fanno a volte inquietanti maschere della vita che ha mille e una faccia. Ma lasciamo l’ultima parola a Dolores. Ecco a voi, una prova da maestra contenuta nel volume “Sogni”: “I sogni di questa notte, molti, lunghi, complessi, si sono cancellati l’uno con l’altro lasciandomi solo l’impressione della loro costruzione da cui scaturivano emozioni, ragionamenti, sorprese”. Un gioco dì incastri. Sogni appunto.

 

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