Secondo il parere dello storico Galli, “la politica moderna si vorrebbe fondata sulla ragione, dunque dovrebbe essere anti – mitica”: paradossalmente, invece, “sin dalle sue origini, la politica ha operato sempre attraverso il ricorso al mito, al quale sembra non possa proprio rinunciare”.
Scorrendo i secoli e ponendo il nostro punto di partenza nell’antichità, possiamo constatare che, a quell’epoca, il mito della politica era la gloria; nel Medioevo fu il giudizio universale; nel Rinascimento e nell’Illuminismo la virtù. Per sostare, temporaneamente, e riflettere sul mito della libertà individuale: pervenendo così al mito della Rivoluzione.
Ascoltiamo ancora Galli: “tutta la nostra politica moderna e razionale è inserita nel mito della democrazia”: cioè il mito degli “uomini tutti liberi e tutti uguali”, che come ogni altra narrazione (perché ogni mito è una narrazione) è un presupposto indimostrabile. Se proviamo anche solo a pensare che una politica “demitizzata” sarebbe inerte, proprio “perché il mito è una drammatizzazione d’impulsi essenziali della psiche collettiva”, sarebbe oggi il caso di sostituire miti positivi a quelli negativi che, come ben sappiamo, influenzano la politica di casa nostra.
“Un paese in preda a miti sbagliati è pericoloso. Come accade adesso, dal momento che il mito reale della Resistenza su cui si fonda la nostra Costituzione, cioè la civiltà che sconfigge la barbarie, viene soppiantato dal mito immaginario e insensato della contrapposizione tra il buon popolo liberale che viene aggredito dai “mostri comunisti”. Un mito della Terza Repubblica, generato dalla propaganda” – conclude Galli – “per cui, a parere di qualcuno, ogni pubblico ministero è comunista”.
Mauro Balbo