PROCESSO

Nel romanzo di Kafka il Processo il protagonista Josef è un impiegato in  un istituto bancario e un giorno all’improvviso riceve la visita di due agenti in casa che lo dichiarano in arresto. E’ imputato in un importante processo penale. Il protagonista resta fiducioso perché pensa si tratti di un malinteso, di un errore visto che non ha fatto nulla di preciso. Nessuno nel tribunale piuttosto squallido situato in una zona malsana e periferica, gli fornisce spiegazioni dettagliate sulla causa e sui motivi. Non si sa la colpa per cui è accusato. Il suo avvocato stesso è ambiguo e elude le sue domande. I colloqui si svolgono sempre nella indifferenza generale. A un certo punto Josef si comincia a preoccupare perché gli sembra che tutto congiuri contro di lui. Non riesce a capire il funzionamento del tribunale e in quella confusione la burocrazia gli sembra cica e impenetrabile piena di segreti. In quei labirinti finisce nella angoscia. Alla fine dopo tante peripezie il protagonista viene condannato a morte e la sua esecuzione avviene in modo terribile e brutale.

In verità nella nostra società i processi sono sempre in atto e le sentenze sempre in agguato. Siamo sempre tutti detenuti in attesa di giudizio, o condannati per crimini diversi.

Molti sono i casi di processi sommari. Molti vivono in celle di massima sicurezza, altri sono agli arresti domiciliari. Sono processati gay, malati, handicappati, donne anziane, donne brutte, donne grasse, uomini di potere, uomini ricchi, uomini in carcere. Spesso a metterci sotto processo sono i parenti con le loro domande insidiose e perfide, i colleghi di lavoro, le vecchie fiamme che ci ricordano tutti i nostri difetti, i vicini di casa, l’amministratore di condominio, i conoscenti, persino gli amici che ci criticano aspramente. Nel processo riviviamo vecchie paure, lontani patimenti, antiche gemiti. Il processo ci procura stress, il cuore ha degli scompensi. Tutti i processi hanno i suoi strascichi. Entriamo in un turbine di rinfacci, di offese, di ricatti estenuanti che sono lontani dalla serena normalità. Le critiche ci travolgono come onde che non sappiamo fermare, trattenere. Siamo sul banco degli imputati a scuola, nel tempo libero, al mare quando ci accusano che non sappiamo nuotare o che siamo troppo magri o grassi. I processi e le accuse ci sviliscono e con difficoltà risaliamo la china, riprendiamo la stima di noi. Ci raggiungono risate, ironie, critiche anche sulle piccole cose. Ci processano per poco, perché indossiamo abiti non firmati, perché facciamo viaggi a corto raggio, perché andiamo alla spiaggia libera o abbiamo una auto usata. Ci contestano l’assenza di ricchezza, di bellezza, di velocità. Siamo pienamente consapevoli di essere magari più lenti ma non ci sembra una colpa in grado di scatenare un processo nei nostri confronti. Ci accusano se non usiamo il trucco, come se truccarsi fosse un obbligo necessario. Molti ci mettono in una posizione di svantaggio, ci costringono a chinare la testa. Molti non ci fanno sentire amari, importanti e noi quasi sentiamo il bisogno di confessare ciò che non abbiamo fatto. Critiche anche affettuose ci travolgono. I processi a nostro carico sono pieni di incomprensioni, di bugie. Nessuno ci ascolta. La nostra ansia di verità non viene appagata.

Alla fine scopriamo che solo i bambini sono spesso totalmente solidali e dotati di una ottima umanità. Gli altri sono sempre pronti a fantasticare su un nostro possibile nuovo processo.

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